Al Teatro Tirso De Molina di Roma, fino al 26 marzo, lo spettacolo, un vero cult ormai, scritto da Nino Manfredi e Nino Marino ed andato in scena per la prima volta nel 1988, Gente di facili costumi, con lo stesso Nino Manfredi e Pamela Villoresi. Questa volta ad interpretare i due protagonisti della pièce, Anna ed Ugo, Nadia Rinaldi e Walter Croce, anche regista dello spettacolo.
Come viene definita o rappresentata oggi la “gente di facili costumi?”. Non sembrano esserci molte differenze tra quanto scrissero gli autori nel 1988 per dipingere il ritratto di una società conformista che giocava concretamente e nel privato con schemi anticonvenzionali e che poteva vedere cambiare le carte in tavola solo vivendo un’esperienza umana oltre i propri pregiudizi.
Protagonisti della pièce sono Anna, una prostituta che rincasa tardi la notte, disordinata e rumorosa che disturba l’inquilino del piano di sotto che soffre d’insonnia. E Ugo, un intellettuale che tira avanti la sua vita scrivendo per la Tv e per il cinema, inquilino del piano di sotto, che sogna di fare un film d’arte, che cerca di essere un intellettuale e avrebbe bisogno di un po’ di tranquillità per concentrarsi. Ma ovviamente non riesce a dormire a causa di Anna. La storia fra loro due inizia la notte in cui Ugo sale al piano di sopra per lamentarsi con l’inquilina rumorosa e lei, per la confusione, lascia aperta il rubinetto dell’acqua della vasca.
Con conseguente allagamento del piano di sotto e necessità di Ugo, afflitto anche da uno sfratto, di trovare rifugio da “Principessa”, il nome d’arte usato da Anna, che fa il mestiere più antico del mondo.
Da questa convivenza “forzata” prendono il via una serie di spassose situazioni, molto divertenti. Sino al sospirato happy-end, a cui si approda dopo circa due ore di dialoghi e battute al fulmicotone.
Lei, Anna, è un personaggio fuori del comune, grintoso, dignitoso, capace, però, ancora di emozionarsi davanti ad un film. Lui, Ugo, è uno scrittore dal linguaggio forbito, disilluso, amareggiato dalla vita poiché tradito dall’ex moglie. E anche molto fragile: ecco perché si nasconde dietro una maschera saccente, che verrà a cadere appena si svelerà la sia anima.
Insieme apprenderanno l’uno dall’altra, specialmente lui, che ritroverà la grinta, la passione, la semplicità e, forse, l’amore. Così lei deciderà di piantarla con quel mestiere e di aprire una giostra, una di quelle chiamata “calcinculo”, da sempre sognate fin da quando era piccola e lui smetterà con i suoi sogni di gloria e le darà una mano.
Ottima la regia di Walter Croce, che valorizza sé stesso, visto che si auto dirige e Nadia Rinaldi, attualizzando anche i contenuti del testo un po’ datato.
Magistrali le interpretazioni dei due attori in scena: Nadia Rinaldi, così ben compenetrata nel suo ruolo, spumeggiante, estroversa, scoppiettante, travolgente, ingenua e Walter Croce, serioso, spigoloso, pignolo, quasi antipatico ma anche un po’ divertente nel mettere in mostra la sua cultura. Da vedere.
Giancarlo Leone