E’ in scena fino al 19 marzo al Teatro Ghione uno dei più interessanti lavori di quel Pirandello che qui descrive un complesso universo fatto di linguaggi, sogni, allucinazioni. In questo ambiente l’Autore arriva a far coincidere il mondo dei vivi con quello dei morti, tendendo a scoprire mondi diversi per entrare nelle menti e negli atteggiamenti dei personaggi e, in fondo, dell’uomo.
Il tutto in un complesso equilibrio all’interno del quale i personaggi e le figure, si muovono per comporre un affresco delicato si ma di straordinaria potenza, con un unico raggio di luce che attraversa la scena: la speranza di un futuro luminoso per la mente umana che l’autore analizza addirittura in forma ironica preannunciando, forse, un suo risveglio che possa condurre i sei personaggi verso la speranza.
Un palcoscenico apparentemente in corso di allestimento è la scena di una futura rappresentazione (probabilmente quella tratta da “Il giuoco delle parti”, dello stesso Pirandello) e gli attori che provano il lavoro vengono interrotti da un usciere che annuncia l’arrivo di sei personaggi che vogliono raccontare le loro storie, i loro drammi. Il capo comico, prima indispettito dalla interruzione, acconsente a che i sei intervengano al posto degli attori che stanno provando.
Da questo momento in poi si sviluppa un intreccio di battute tra un padre ed una figliastra, tra una moglie ed un figlio, un segretario alquanto invadente che vive in casa loro in un equilibrio quasi perfetto malgrado l’anomalo rapporto tra i vari componenti la famiglia (tra i quali la decisione faticosa della figlia che si concede ad alcuni uomini, padre compreso).
Una serie di avvenimenti più o meno drammatici, ma certamente alquanto cervellotici, compone lo svolgimento di un dramma o di più drammi che porteranno alla rivelazione di una amara verità, al’interno della quale la pazzia e la follia regnano sovrane, quasi ad identificare l’umana scontentezza e l’artificiosità di ogni atteggiamento.
Difficile dire quali degli attori in scena sia il più bravo, da Carlo Valli a Marta Nuti, da Selene Gandini ad Alberto Mariotti, a Giorgia Ferrara, Barbara Begala, Martino Duane, per non citare almeno un’altra decina di interpreti che hanno saputo infondere alla rappresentazione l’aurea del mistero e del dramma, dello sconvolgimento di alcune vite, senza prospettive o speranza di risveglio.
Ottima la regia di Daniele Salvo per questo lavoro veramente impegnativo, con la creazione di scene traumatiche che vorrebbero rappresentare la volontà di vivere una vita autentica e serena all’interno della quale, però, si ripete l’angoscia della colpa concretizzantesi nella compromissione dei rapporti fin dal momento stesso in cui si formano, portando così l’uomo verso una irrimediabile solitudine.
Andrea Gentili