Più che sognare, Massimo Ranieri continua ad essere molto desto in palcoscenico: lui al teatro non rinuncia, nonostante la sua carriera sia costellata di successi nei più diversi ambiti. Ora, fino al 7 maggio, il cantante-attore torna al Teatro Sistina con una nuova edizione di Sogno e son desto… in viaggio, per proseguire e arricchire un dialogo con il pubblico già iniziato nelle passate edizioni. Visum l’ha intervistato.
Scritto dallo stesso Ranieri, con Gualterio Peirce, questo spettacolo è dedicato agli ultimi, ai sognatori, agli uomini e alle donne e vedrà l’artista napoletano nel duplice ruolo di attore e cantante. Ci sono i suoi successi, ormai considerati cult, novità teatrali e sorprese teatrali che, con la sua formula, ha già conquistato le platee di tutta Italia.
Massimo, Sogno e son desto, più che uno spettacolo un work in progress? “Assolutamente sì. Non ci stanchiamo di aggiungere, tagliare, cambiare. Dopo tante repliche non vogliamo rischiare di annoiare, né di annoiarci. Ci sono una serie di cambiamenti – spiega il cantante- attore – rispetto alle scorse edizioni, dalla scenografia, essenziale ed elegante, dall’orchestra, fino ad arrivare a nuovi segmenti teatrali, con nuovi monologhi e diverse citazioni che provengono dalla letteratura e dalla poesia”.
Non potranno mancare poi le sue canzoni considerate ormai delle vere hit, dei cult “Accanto alle mie canzoni più popolari come Vent’anni, Erba di casa mia, Perdere l’amore, farò riscoprire al pubblico vere gemme del passato musicale partenopeo. Non mancheranno brani dei più celebri cantautori italiani e internazionali da Fabrizio De André, a Francesco Guccini, da CharlesAznavour a Violeta Parra, passando da Luigi Tenco, Lucio Battisti, Pino Donaggio, Pino Daniele e omaggi a grandi maestri come Renato Carosone e Nino Taranto con le loro macchiette”.
Ultimamente si sta dedicando molto più al teatro e poco al cinema. Perché? “Non sono un attore di cinema, tranne, ovviamente, che per i film che davvero mi interessano. Faccio un altro mestiere: canto, ballo, intrattengo il pubblico, recito anche, ma faccio sempre e solo scelte mirate, in totale libertà”.
L’anno scorso, dopo aver rifiutato il personaggio più volte, ha interpretato un film su Pier Paolo Pasolini. Perché? “Sì, sono stato protagonista del film di David Grieco, La macchinazione, dove ero Pasolini. Ho sempre rifiutato perché non mi convincevano le sceneggiature. Si tendeva ad insistere sull’omosessualità di Pasolini e non veniva fuori – sottolinea l’atrore – la sua grandezza di intellettuale; non un intellettuale al cachemire come oggi se ne vedono tanti, ma uno che stava per strada, in jeans e giubbotto, con la sua magrezza e i suoi occhiali scuri, sempre incuriosito dalle persone e da quello che si muoveva nella società. Con il tempo sono diventato un suo fan, ancora oggi lo leggo e mi dico: aveva proprio ragione su tutto”.
Qual è la soddisfazione che più la gratifica? “Il calore e l’affetto del pubblico. E’ quando io a fine spettacolo sudato, stanco e felice di aver dato il massimo vedo le persone in piedi che mi applaudono con il sorriso. Quella, per me, è la soddisfazione che mi gratifica”.
Cosa la spinge a migliorarsi sempre di più, a guardare avanti alla ricerca di nuovi orizzonti? “Le doti come il talento vanno coltivate e questo è un lavoro che va sempre aggiornato attraverso l’allenamento fisico e mentale. Il segreto? Studiare, studiare, studiare. Ho voglia sempre di mettermi in gioco, di ricominciare sempre da capo, di buttarmi senza la rete di protezione. E il brivido di non sapere cosa accade quando cadi, rischiando di farti molto male, è adrenalina pura. D’altro canto la vita è una sola e va vissuta fino in fondo, in tutte le sue sfaccettature”.
C’è un progetto a cui pensa da tempo, che le piacerebbe concretamente realizzare? “Mi piacerebbe tanto portare il teatro di Cechov sul grande schermo, magari Il giardino dei ciliegi. E’ un autore che amo molto perché esprime quella malinconia che fa parte di me. Prima o poi voglio essere Astrov, il dottore e filosofo dello Zio Vanja. Me lo porto appresso da vent’anni e prima o poi…”.
Giancarlo Leone