Al Teatro Sistina di Roma è in scena un vero e proprio acquerello fatto con i colori delle zagare e dei fichi d’India: Il casellante; un testo di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale, una interessante drammaturgia tratta da un romanzo storico dello scrittore agrigentino e ambientata negli anni Quaranta, nel periodo fascista e per l’esattezza agli inizi della seconda guerra mondiale.
Lo scenario è quello consueto: la Sicilia di Camilleri, con i suoi colori e il suo sentimento, con le sue musiche, e soprattutto con il suo specialissimo linguaggio, una specie di sincretismo linguistico capace di fondere italiano e dialetto, con reciproche contaminazioni che ne valorizzano al massimo la forza semantica.
Un omaggio letterario a una Sicilia forse immaginaria, forse non più attuale, ma di sicuro quella che tutti amiamo, specie coloro che – come chi scrive – ne sono lontani: e le pennellate, passate a tinte ora forti, ora delicatamente pastello, aiutano il volo della fantasia.
La storia che ci viene narrata è quella di Nino (casellante della linea a scartamento ridotto Vigata-Castelvetrano!!!) e di sua moglie Minica: innamoratissimi l’uno dell’altro, attendono con ansia che “u Signuruzzu” regali loro il dono di un figlio.
Purtroppo, quando lei riuscirà a restare incinta, avverrà qualcosa di tragico, che le farà perdere la creatura; ma ne favorirà una specie di metamorfosi mitologica… Non entriamo troppo in dettaglio, per non togliere il piacere della scoperta, ma possiamo dirvi con assoluta convinzione che lo spettacolo si è rivelato una piacevolissima sorpresa.
Bravissimo Moni Ovadia il quale dimostra di avere grandissima dimestichezza con il dialetto siciliano, interpretando il ruolo di narratore oltre che quelli secondari – ora nei panni della buffa mammana, ora indossando il camice bianco del barbiere o la toga del giudice; Mario Incudine, ottimo Nino, oltre a recitare, suona il mandolino e canta; Valeria Contadino dà vita a una Minica appassionata e determinata, per nella sua comprensibile ingenuità.
Belle le musiche di scena originali, dello stesso Incudine. Al loro fianco, ben figurano Sergio Seminara e Giampaolo Romania e i musicisti Antonio Vasta e Antonio Putzu, che passano agevolmente dalla fisarmonica al clarino, dalla chitarra al folkloristico “friscalettu”.
Insomma, il Sistina propone un tocco elegante ma profondo di “sicilitudine”, che piace a tutti: sicuramente ai siciliani “in esilio” nel mondo, che possono apprezzarne ogni sfumatura linguistica, ma anche a non siciliani, che ormai hanno imparato a riconoscere il linguaggio ironico e disinvolto di Andrea Camilleri. Uno spettacolo da non perdere!
Salvatore Scirè