Fino all’8 novembre è in scena al Teatro Off/Off Theatre di Roma, lo spettacolo teatrale scritto e diretto da Giovanni Franci, L’effetto che fa, liberamente ispirato al più spaventoso caso di cronaca avvenuto a Roma negli ultimi anni: l’omicidio Varani. L’effetto che fa è la risposta che Manuel Foffo e Marco Prato hanno dato agli inquirenti quando gli è stato chiesto come mai avessero torturato e ucciso Luca Varani.
E’ una tragedia allucinante e ingestibile, uno spaventoso caso di cronaca che va al di là di efferate drammaturgie, l’omicidio Varani, il caso di quel ragazzo di 23 anni, Luca Varani per l’appunto, attirato nel marzo del 2016 in un agguato all’interno di un appartamento al Collatino dal 29enne Manuel Foffo e dal complice 30enne Marco Prato, entrambi trasformatisi, sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, ma anche per sadismo, in carnefici di una vittima nella trappola di uno strano invito.
Ora quell’omicidio con torture raccapriccianti, commesso solo per fare del male, è diventato uno spettacolo teatrale, che vede come protagonisti Valerio Di Benedetto (nel ruolo di Manuel Foffo), Fabio Vasco (nel ruolo di Marco Prato) e Riccardo Pieretti (nel ruolo di Luca Varani).
Come è possibile che giovani di buona famiglia, buona educazione e buona istruzione siano giunti ad un massacro così agghiacciante? Domanda retorica ma necessaria.
Questo spettacolo vuole essere un grido e nasce dallo spavento, da un profondo senso di inquietudine, di sconforto, di malessere. E’ uno spettacolo disperato, che ha urgenza di essere gridato, urlato perché è il risultato di un profondo e lacerante spavento. In scena si avrà l’impressione di assistere ad un processo impossibile da chiudere con una semplice sentenza, perché è destinato a restare aperto per sempre, come tanti altri casi giudiziari, omicidi clamorosi rimasti con vari interrogativi aperti come l’omicidio di Sara Scazzi, il delitto del Circeo, la scomparsa di Emanuela Orlandi, e tanti altri.
Per l’omicidio Varani non si inviterà il pubblico a giudicare, ma di provare a capire, di provare a dare un senso a questa follia e una ragione a tutto questo odio. Un’operazione del genere non risulterà inutile. In teatro il “muro invisibile” che separa la platea dalla scena viene definito come “la quarta parete”. Il regista Giovanni Franci vorrebbe che per questo spettacolo, la cosiddetta “quarta parete” non fosse fatta questa volta di mattoni, ma di specchi.
Giancarlo Leone