Possono bastare 24 ore per sconvolgere la vita di una donna, cambiare a tal punto la sua personalità e decidere di rischiare il suo passato? E’ possibile che tutto ciò possa accadere ad una donna che fino ad allora ha visto trascorrere la sua vita tranquilla ed agiata? Sembrerebbe di sì. E’ quello che accade nella pièce teatrale, 24 ore della vita di una donna, tratta da una novella di Stefan Zweig che vede protagonisti Evelina Nazzari e Arcangelo Zagaria per la regia di Rosario Tronnolone, in scena dal 14 al 19 novembre al Teatro di Documenti. Visum ha intervistato Evelina Nazzari.
Evelina, parliamo di questo spettacolo
“Il testo è tratto da una novella di Stefan Zweig, ma non era nata per il teatro, anche se la messinscena si presta, ed infatti. Una ricca signora, vedova, non più giovane – spiega a Visum l’attrice – si trova spesso nel casinò di Montecarlo per giocare. In una delle tante sere si accorge che a giocare c’è un uomo, poco più che un ragazzo, che perde tutto alla roulette. E lei quella notte lo salva dal suicidio, lo fa ragionare e poi se ne innamora, anche se consapevole che quell’amore forse non durerà”.
Che tipo di donna è questa Claire che lei interpreta?
“E’ una donna sul finire della giovinezza, una ricca signora, vedova che pensa che tutto sia finito e che la vita non le riservi più nessuna sorpresa. Invece tutt’altro, la vita può sempre sorprenderci e finché uno non è messo alla prova non saprà come reagirà. Lei stessa rimane stupita del suo comportamento”.
C’è un messaggio che vuole lanciare questa pièce?
“Quello un po’ che ho detto prima. Che quando uno meno se l’aspetta, la vita, nel bene o nel male, può essere sorprendente e la conoscenza di sé stessi non finisce mai, le sorprese sono sempre dietro l’angolo”.
Che ricordo ha del suo famoso papà Amedeo Nazzari e cosa le ha insegnato?
“Ho un ricordo bellissimo, anche se quando è venuto a mancare avevo solo vent’anni, un confronto con lui vero e proprio non c’è stato. Ma nel breve tempo che l’ho frequentato – commenta – mi ha insegnato la professionalità, la serietà del lavoro”.
Essere figlia di cotanto padre le ha giovato o le è stato di ostacolo?
“E’ una domanda che nel corso della mia carriera mi hanno fatto spesso. Inizialmente può giovare, come è giovato a me, poi diventa controproducente, perché la gente comincia a fare i confronti e si aspetta sempre qualcosa di più da un figlio cosiddetto d’arte”.
Segue la televisione e se sì cosa le piace?
“La considero un elettrodomestico, come il frigorifero, la lavatrice. Amo molto i film, andare al cinema. Seguo poco la tv e quando l’accendo seguo dibattiti, telefilm”.
“Mi considero, da buona Toro, una testarda, che può essere un pregio e nello stesso tempo un difetto”.
Desiderio di un personaggio che le piacerebbe interpretare?
“Questo di Claire che interpreto in questa pièce. Mi trovai a parlare distrattamente con il regista e gli esternai – afferma l’attrice – che non mi sarebbe dispiaciuto interpretare questa donna che in poco tempo cambia la sua vita. Detto fatto, il regista mi ha accontentato. Interpretare questo testo mi è molto piaciuto”.
“Dopo essere uscita l’anno scorso con il libro intitolato, Fratelli d’arte. Storia familiare del cinema italiano, continuo a scrivere dei racconti autobiografici. Spero un domani di scrivere un bel racconto che susciti un vasto consenso di pubblico”.
Giancarlo Leone