X
    Categories: Spettacolo

Ragazzi di vita al Teatro Argentina

Sembra quasi che in scena aleggi un furore in grado di coinvolgere non solo gli spettatori ma anche e principalmente tutti gli attori che per la direzione di Massimo Populizio interpretano, fino al prossimo 7 gennaio 2018, questo particolare adattamento teatrale di Emanuele Trevi del celeberrimo romanzo di Pier Paolo Pasolini.

Tutto sul palcoscenico fa da riquadro a drammi personali e collettivi narrati non con crudezza o crudeltà, ma semplicemente in forma assolutamente poetica pregna di una particolare forma di lirismo che induce a riflettere sullo status particolare di un gruppo di ragazzi di borgata che forse non hanno mai conosciuto l’infanzia per come è dato di conoscerla ai “normali”, a quelli che, in fondo, formano la attenta platea del Teatro Argentina.

Assoluto realismo dicevamo, perché i vari Alvaro, Agnolo, il Caciotta, Amerigo, Lo Spudorato e tanti altri che costituiscono la spina dorsale dello spettacolo, rappresentano effettivamente il leit motiv di una vita nata male e peggio proseguita, senza educazione alcuna, senza rispetto verso il prossimo e, purtroppo, anche verso se stessi: un modus vivendi basato sulla ferocia, sull’assolutismo e su una spietata violenza che vuol fare da contraltare a tutto quanto è mancato loro nell’infanzia (se mai ne hanno avuta una).

Ed appare chiaro così che tutta l’energia che il gruppo di borgatari esprime non è soltanto violenza e basta ma, a ben guardare,  emerge  una  intensa  attività  corale da parte di un narratore “fuori scena” (Lino Guanciale) in grado di far risaltare come soltanto un esterno al gruppo, un osservatore non anonimo, è in grado di fare descrivendo minuziosamente e nel tempo tanti episodi “di strada” i quali abilmente cuciti insieme contribuiscono a descrivere un grande quadro che sa parlare a più voci infondendo nello spettatore una forma di tranquillità interiore che riesce ad opporsi ed a sopraffare il senso di nausea che emergerebbe se ogni storia venisse presa a se stante.

Opera di saldatura di tanti racconti, di tante vite sbagliate, perse anche, ma in grado almeno di contribuire alla rappresentazione, per chi assiste, che sempre, sotto la apparente e spesso evidente violenza, c’è sempre un fondo di buono e di dolcezza volutamente repressa per far si che nessuno del gruppo resti indietro e possa essere tacciato di apparente bontà.

Il particolare legame tra le varie storie che si incrociano e si fondono sulla scena contribuisce così a rendere appassionate lo svolgimento del dramma, o dei drammi se vogliamo, rendendo veramente appassionante il susseguirsi gli avvenimenti, particolarmente quando le vicende che vivono “Riccetto” ed “Il Caciotta” si concludono all’interno di un ambiente del sottoproletariato romano del secondo dopoguerra con una specie di redenzione del primo che, finalmente svincolatosi dall’ambiente malavitoso nel quale è vissuto, addirittura “ trova lavoro “, un lavoro onesto che è la pedissequa rappresentazione del bene che riesce a sopraffare il male.

Ottima la regia, assolutamente particolari costumi e scenario ma veramente degne di citazione appaiono l’espressione gestuale e quella linguistica che Lino Guanciale esprime non così com’è ma come egli la intende per averla appresa proprio da quei “ragazzi di vita” che Paolini ha voluto immortalare.

Andrea Gentili

Andrea Gentili: