Il razzismo si sa è una piaga difficile da estirpare. Lo sa Gad Lerner che su Rai 3 compie un viaggio catodico nel Bel Paese, per vedere come il fenomeno si sia evoluto, ogni domenica sera, per sei appuntamenti in access prime time alle 20,20, dal 22 aprile. Il conduttore è anche autore del programma, mentre la regia è affidata a Stefano Obino. La prima puntata ha fatto registrare 796.000 spettatori e uno share del 3,29%.
Un reportage-inchiesta sul razzismo in Italia quello di Gad Lerner su Raitre. “Un programma di cui vado molto fiero e la scelta di metterlo in prima serata credo rientri perfettamente in quel che io intendo fare per Rai3 – ha detto il direttore di rete Stefano Coletta. Se ottenessimo di far riflettere anche solo un giovane sui suoi pregiudizi razziali penso che avremmo raggiunto il nostro obiettivo di servizio pubblico”. La prima puntata è dedicata agli ebrei, a 80 anni dalla promulgazione delle leggi razziali in Italia.
Per questo Lerner ha voluto alla presentazione del programma negli studi di corso Sempione, Liliana Segre, 87 anni, scampata ad un campo di sterminio, antifascista e da qualche mese senatrice a vita. “Temo di vivere abbastanza per vedere cose che pensavo la storia avesse definitivamente bocciato, invece erano solo sopite – ha detto -. Vedo rinascere con grande vigore teorie e simboli che credevo la storia avesse bocciato definitivamente, sentimenti osceni che non si aveva il coraggio di manifestare dopo la guerra e finché erano vivi i testimoni di quella violenza, ora sono usciti di nuovo allo scoperto”.
Ogni serata è incentrata sul meccanismo ‘noi e loro’. Per la prima puntata, ‘Noi e gli ebrei’, Lerner ha realizzato un’intervista ai capi delle tifoserie che continuano ad usare la parola ebreo come insulto, al rabbino Ariel Toaff e un servizio su uno degli attuali bersagli dell’antisemitismo, il finanziere ebreo ungherese George Soros.
Seguiranno ‘Noi e gli africani’, quindi ‘Noi e gli arabi’, ‘Noi e gli zingari‘, ‘Noi e i cinesi’ e infine il razzismo contro gli italiani. Come il caso svizzero. “Fino agli anni ’70 i bambini figli di italiani che lavoravano a Zurigo non potevano vivere coi genitori – ha spiegato Lerner – E se ci stavano, dovevano stare chiusi in casa, senza andare a scuola, nascondendosi se arrivava qualcuno”.
Un itinerario che non manca di analizzare il razzismo amplificato anche dalle piattaforme social.
Carlo Salvatore