L’Orchestra Tzigana di Budapest, diretta dal Maestro Antal Szalai e la Compagnia Zigana Clan diretta da Anastasia Francavilla ha tenuto, al Teatro Olimpico di Roma e per due serate, uno spettacolo particolarmente interessante sia sotto l’aspetto musicale che sotto quello della diffusione dell’arte del balletto che, entrambe, contraddistinguono la tradizione artistica ungherese.
Antal Szalai, il direttore dell’orchestra e primo violino della stessa, vestito negli abiti tradizionali ungheresi come pure i suoi sette orchestrali, hanno dato corso ad una esecuzione di alta levatura eseguendo un repertorio di musiche di antica tradizione attraverso l’utilizzo di strumenti assolutamente particolari quali il “tarogato” ed il cimbalon, una sorta di pianola suonata con appositi battitori che è in grado di produrre un suono simile al carillon, molto gradevole ed accattivante.
Assai elevato il livello dell’esecuzione che ha evidenziato le caratteristiche, a volte estremamente entusiasmanti ed a altre volte velate di profonda nostalgia, della musica ungherese, una musica di genere che ha profondamente influenzato la cultura mitteleuropea ed in particolare quella classica.
Brani della portata di “Danze unghersi” di Brahms o “Seconda rapsodia ungherese” di Franz Liszt non sono stati da meno della famosa musica della casata e della relativa espressione in formato danza, dimostrazioni delle caratteristiche del cuore popolare ungherese, inimitabile e profondamente sincero, pieno di sentimenti, caldamente romantico.
Insomma due serate autenticamente calde in grado di esprimere tanto la condizione del popolo che il dramma della da poco riconquistata libertà che si esprime attraverso la dimostrazione della gioia di vivere ogni istante della vita.
Due parole sulle coreografie, ispirate al mondo dei nomadi tzigani con momenti di improvvisazione che alterna tensione, dramma, libertà ad espressioni fortemente in grado di trasformarsi in arte pura attraverso una particolare gestualità che segue ai ritmi a volte lenti a volte rapidamente travolgenti.
Andrea Gentili