Dire Canaletto è dire Venezia, il suo incanto, la sua magia. A distanza di dodici anni dalla mostra di Palazzo Giustiniani il maestro del “Vedutismo” veneziano torna a Roma, nel settecentesco Palazzo Braschi, con 42 dipinti, 9 disegni, 16 libri e documenti d’archivio. Un excursus sull’intera produzione dell’artista con opere che vengono da musei, gallerie, fondazioni e collezioni private nazionali e internazionali.
L’ultima mostra di Canaletto a Roma è stata a Palazzo Giustiniani nel lontano 2005. Una rassegna non enorme, con dipinti e disegni in prestito da enti e musei internazionali, di grande qualità e godibilità. Curatrice Bozena Anna Kowalczyk, catalogo Silvana Editoriale. Dire Canaletto, nome d’arte di Giovanni Antonio Canal (Venezia 1697-1786), forse per distinguerlo dal padre pittore, è come dire Venezia, la sua magia, il suo incanto, i suoi canali, i suoi ponti, la sua luce. Ed ora Canaletto torna a Roma, nel settecentesco Palazzo Braschi, con una retrospettiva più ampia di allora, articolata in otto sezioni.
In mostra 42 dipinti, inclusi alcuni celebri capolavori, il più grande numero di opere di sua mano mai esposto in Italia, 9 disegni, 16 libri e documenti d’archivio, a cui si accompagna una selezione di abiti settecenteschi della collezione del Museo e la musica. E una curiosità. La grande tela Chelsea da Battersea Reach tagliata prima del 1802 in due parti, una conservata al Museo dell’Avana, l’altra nel Regno Unito viene riunita in questa mostra per la prima e forse ultima volta.
Alla presentazione alla stampa, nel salone che affaccia su Piazza Navona, musiche di Vivaldi eseguite da un quartetto classico dell’Orchestra dell’Università di Roma Tre. A curare la rassegna, nel 250° anniversario della morte dell’artista, la stessa specialista della mostra del Senato, Bozena Anna Kowalczyk, anche il catalogo è pubblicato dallo stesso editore.
Promossa dall’Assessorato alla cultura della città- Soprintendenza capitolina, coprodotta da Zètema e dall’Associazione Culturale MetaMorfosi, rappresenta un evento straordinario per Roma e un grande sforzo collettivo per il Museo che la ospita, dice Federica Pirani. Molti gli sponsor, fra cui BNL che ha prestato un grande Capriccio con architetture classiche e rinascimentali datato fra il 1753 e il 1755, e Guzzini cui si deve l’illuminotecnica.
Le opere vengono da musei e gallerie nazionali (Borghese, Barberini, Fondazione Cini, Gallerie dell’Accademia, Musei Reali di Torino, Pinacoteca Agnelli, Castello Sforzesco, Istituto per il Teatro e il Melodramma) e da musei, gallerie e collezionisti stranieri (Mosca, Budapest, Londra, Parigi, Vienna, New York, Boston), a significare il valore universale dell’opera di Canaletto. Tanto che, precisa Pietro Folena presidente di MetaMorfosi, il 55%-60% delle spese della mostra costata circa un milione di euro (polizza assicurativa 250mila euro, più la garanzia di Stato per alcuni quadri), è stato assorbito dai trasporti.
In genere Canaletto viene presentato puntando sui soggetti, Venezia, Londra, il Tamigi, qui invece c’è l’artista seguito nella sua evoluzione artistica, dice la curatrice. Uno svolgimento cronologico che illumina sul suo percorso e invita a conoscerlo con dipinti e pannelli e un allestimento gioioso e leggero. Ma per capire la sua arte occorre fermarsi davanti ai quadri, osservarli attentamente, godendo della sua chiarezza di visione, del suo amore dei particolari, della sua perfezione prospettica, lasciandosi trasportare in quelle atmosfere, in quegli spazi.
Il teatro era un’esperienza fondamentale a Venezia, che appassionava patrizi e gondolieri ed era ritornato in auge a Roma grazie a papa Clemente XI Albani. Così si passa dal Canaletto scenografo teatrale dei primi anni, al seguito del padre Bernardo “pittore da teatro”, quando fece “bellissimi disegni per gli scenari” (di cui nulla si conserva), al viaggio a Roma nel 1719 a ventidue anni, quando decide di darsi tutto a dipingere “vedute dal naturale”, come scrivono i biografi. In mostra Teatrino in piazzetta, Venezia e fra i dipinti romani Santa Maria d’Aracoeli. E a conferma dell’esperienza teatrale di Canaletto, sette libretti d’opera, fra cui due di Alessandro Scarlatti, messe in scena nel 1720 al Teatro Capranica di Roma, ristrutturato da Filippo Juvarra.
Le prime opere romane non sono dipinti, ma disegni, 22 piccoli fogli che descrivono i monumenti di Roma antica. Uno della Piramide (dal British Museum) è stato copiato e firmato dal fratello Cristoforo. Di Canaletto giovane che rivoluziona i capricci archeologici, opere di fervida fantasia, in mostra grandi tele con immaginarie rovine e colonnati, imbevute di spirito teatrale. Come il Capriccio architettonico del 1723 che viene da una collezione privata svizzera.
Tornato a Venezia avviene il passaggio dalla pittura di teatro e dal capriccio archeologico alle vedute della laguna. Ed ecco Il Bacino di San Marco dalla Giudecca. L’artista sta costruendo l’immagine di Venezia che l’ha reso celebre nel mondo. “Va sempre sul loco e forma tutto sul vero”, si legge in una lettera indirizzata a Stefano Conti di Lucca per il quale realizza i suoi primi capolavori. Fra questi Il Ponte di Rialto da nord, Il Canal Grande con Santa Maria della Carità e Il Ponte di Rialto da sud, recentemente riscoperto, opere che giustificano l’ammirazione dei contemporanei. “Vi si vede lucer entro il sole”, dicevano i suoi contemporanei.
L’artista che è informato sulle scoperte di Newton circa la composizione della luce, è in possesso di una tecnica capace di rendere con naturalezza l’atmosfera e le architetture di Venezia con colori sempre più chiari e diversificati. Una visione razionale e limpida di Venezia, emblema del secolo dei lumi. Ed ecco il fasto delle celebrazioni ufficiali, la luce della città, le grandi scenografie della Serenissima, prima di lui immortalate dal friulano Luca Carlevarijs. Viene da Boston, uno dei dipinti della collezione Liechtenstein, fra quelli eseguiti dal maestro nei primi anni trenta, San Giorgio Maggiore dal Bacino di San Marco, l’immagine serena di una città marittima, di grande luminosità. La facciata palladiana bianca di San Giorgio si riflette sul mare, animato da numerose imbarcazioni, mentre il cielo azzurro è percorso da leggere nuvole bianche.
E’ del Museo Pushkin di Mosca Il ritorno del Bucintoro al Molo il giorno dell’Ascensione, grandioso, sfavillante di sculture dorate, commissionato dall’ambasciatore di Francia come pendant del suo Ingresso a Palazzo Ducale. Questo tipo di opere sancisce il successo dell’artista nel collezionismo internazionale. Joseph Smith, colto banchiere, mercante, collezionista e console britannico a Venezia gli apre le porte del successo in Inghilterra, favorito dalla diffusione di una sorta di catalogo dei dipinti dell’artista Prospectus Magni Canalis Venetiarum. Per un gentleman possedere un’opera di Canaletto era allora una questione di prestigio.
Una sezione della mostra è dedicata al viaggio di Canaletto a Roma insieme al nipote Bernardo Bellotto (1721-1780), un viaggio antecedete a quello di Winckelmann. Un’esperienza irrinunciabile, come era stata per Piranesi e Canova. In gioventù Canaletto era stato attratto dalla Roma antica, ora verso il 1742 torna sugli archi di trionfo, il Foro, il Pantheon con una diversa sensibilità che lo induce a una forma di monumentalità che preannuncia il gusto neoclassico.
Bellotto, che percorre la città sulle orme di Canaletto, è interessato non tanto alla Roma antica, ma a quella moderna, a Michelangelo, Borromini, Piranesi alle architetture, vedi la sua Piazza Navona verso nord scenografica e drammatica. Il loro viaggio italiano insieme lungo il Brenta volge poi a Nord, Bellotto va a Torino, dove ha ottenuto la sua prima commissione da parte di un re, Canaletto a Padova l’unica città italiana, eccetto Roma e Venezia, ritratta dal pittore. In mostra il Prato della Valle, Padova, eseguito più di dieci anni dopo il ritorno da Londra, in ricordo di quel viaggio. Proviene dalla Collezione di Giovanni Battista Tiepolo, che lo custodiva nella stanza da letto, sotto vetro.
Un’intera sezione è dedicata all’Inghilterra dove rimase a periodi alterni nove anni (1746-1755), a Londra e ai castelli della nobiltà inglese. Un altro paese, un’altra società, un altro cielo, altri colori. Che il pittore dipinge. Il Tamigi, la cattedrale di Saint Paul, Windsor Castle. Non è più il Canaletto della luce veneziana e si sospetta che non sia lui a fare quei quadri. Ed ecco il suo annuncio sul Daily Advertiser, invita tutti a visitare il suo studio per smentire le voci che fosse un impostore.
Infine gli ultimi anni a Venezia, quando cambiato il gusto, Smith non è più interessato ai suoi dipinti, calano le richieste. Allora Canaletto realizza quadri e disegni sempre più piccoli, considerati per paradosso, per i forti contrasti luministici e punti di colore, opera di Bellotto. Il fascino delle vedute della laguna in scala minore e formato verticale raccontano la Venezia di sempre, ma con una nuova sottile sensibilità. Per la prima volta compare il Florian, il primo caffè italiano fondato nel 1720 sotto i portici delle Procuratie Nuove. E poi ci sono i disegni, splendidi. Per Canaletto il disegno è la forma di espressione migliore, accompagnato dall’acquerello. Ed ecco L’incoronazione del doge sulla Scala dei Giganti, per le sue qualità pittoriche “bello come un quadro”, si diceva. E’ l’ultimo capolavoro commissionato dall’editore Lodovico Furlanetto per la serie delle dodici Solennità dogali, in prestito da una collezione privata di Londra.
Di notevole interesse la sezione dedicata alla grafica e ai libri antichi. Canaletto attinge più volte al repertorio dei vedutisti, alle incisioni di artisti italiani e stranieri che hanno rappresentato fin dal Cinquecento i luoghi simbolo della città eterna, da Pannini a Vanvitelli. In mostra una serie di volumi e di incisioni selezionati dal patrimonio del Museo di Roma, di Giovan Battista Falda, Cornelis Meijer, Etienne Du Pérac, Alessandro Specchi.
Museo di Roma a Palazzo Braschi – Piazza Navona, 2 – Piazza San Pantaleo, 10. Orario: dal martedì alla domenica 10.00-19.00, chiuso il lunedì e il 1° maggio. Fino al 19 agosto 2018. Informazioni: tel.060608 e www.museodiroma.it
Laura Gigliotti