Il ruolo delle donne nella fabbrica di San Pietro

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Dalla lettura dei documenti dell’Archivio Storico della Fabbrica di San Pietro emerge la storia delle donne che lavorarono all’ombra del Cupolone:“carrettiere”, “mastre muratore”, “pozzolaniere”,”capatrici” di smalti per i mosaici, “fornaciare” di laterizi e vetri, “stampatrici”, “intagliatri” di legno e pietre dure. Ma anche artiste e responsabili delle imprese di famiglia.

Incredibile dictu, nella costruzione della nuova Basilica di San Pietro in Vaticano, sin dai primi decenni del XVI secolo, molte donne sono state impiegate in lavori considerati appannaggio degli uomini, se non altro per l’impegno fisico richiesto. La scoperta di una presenza femminile ragguardevole nel cantiere di San Pietro in Vaticano non è una supposizione ma una certezza. A dirlo sono le carte conservate nell’Archivio della Fabbrica di San Pietro, un archivio eccezionale, completo, 1800 metri lineari di documenti conservati in 100 armadi. E’ ospitato in Vaticano dal 1506 ad oggi nello stesso edificio a cui si accede attraverso la scala a chiocciola del Sangallo.

L’imponenza e la vitalità del cantiere aveva favorito la presenza a Roma di maestranze, di artigiani e fornitori di materiali edili con le loro famiglie. E in caso di scomparsa del padre o del marito, saranno le figlie e le mogli a garantire la prosecuzione dell’attività. Infatti “secondo una prassi consolidata, nel cantiere il lavoro si trasmetteva di padre in figlio e, in caso di morte prematura del padre, se la prole era ancora in tenera età, il ruolo del marito passava di diritto alla consorte”, scrive il cardinale Angelo Comastri nella prefazione al volume che ne racconta la storia. Ma la presenza della donna non è stata solo di ausilio e completamento del lavoro maschile, in molti casi ha svolto funzioni autonome.

La scoperta risale a qualche tempo fa, ne parlava già, sorprendendosi di trovare tanti nomi femminili nei documenti, suor Teresa Todaro francescana che è stata a capo dell’Archivio fino al 2007. E’ stato il “la” che ci voleva perché il lavoro continuasse. A raccogliere il testimone, indagando a fondo i documenti, sono l’attuale responsabile dell’Archivio Simona Turriziani insieme all’archivista ad Assunta di Sante che dopo aver esaminato il fenomeno in generale nel libro Quando la Fabbrica costruì San Pietro. Un cantiere di lavoro, di pietà cristiana e di umanità, XVI-XIX secolo, pubblicato due anni fa, sono tornate sul tema che aveva suscitato l’interesse dei lettori, più o meno esperti, ovvero la partecipazione delle donne alla riedificazione e decorazione della Basilica. 

 

A loro si deve la cura del bel volume “Le donne del cantiere di San Pietro in Vaticano – Artiste, artigiane e imprenditrici dal XVI al XIX secolo” edito da Il Formichiere, che racconta con i contributi di Nicoletta Marconi, Paola Torniai e Sante Guido, questa incredibile storia lunga tre secoli e mezzo, dalla posa della prima pietra della basilica il 18 aprile 1506 da parte di Giulio II della Rovere, al XIX secolo. Puntando l’obiettivo su alcune personalità di rilievo di cui viene ricostruito il profilo biografico.

L’impiego di manodopora femminile in edilizia era molto diffuso in tutta Europa fin dall’età medievale e documentato in Italia dal XIII secolo. Nel cantiere del Duomo di Siena compaiono “chalcinaiule” e donne  che “rechano rena, manovagli e femine che lavorano a giornata”, mentre della presenza femminile si trova traccia anche nei libri paga dell’Arsenale, una delle maggiori industrie veneziane dove a metà Seicento lavoravano una quarantina di “velere”, addette alla cucitura delle vele, “marangone” (falegname), “favre” (fabbre), “cestere, barilere e remere” (fabbricanti di ceste, remi e barili) e alcune “marinere”, per lo più vedove, identificate dalla professione dei mariti.

Un capitolo molto ampio, firmato da Nicoletta Marconi, riguarda le carrettiere, fornitrici e ‘mastre muratore’ che lavorarono per la basilica e nei cantieri dello Stato Pontificio. In particolare a San Pietro, grazie a una particolare politica assistenziale, c’erano le “sanpietrine”, figlie mogli di “sanpietrini” defunti. Non mancavano le imprenditrici e le nobildonne committenti di palazzi, conventi e fabbriche monastiche e alcune “architettore” attive nella Roma di fine Seicento come Plautilla Bricci, cui si deve, con il fratello Basilio, il progetto di Villa Benedetti al Gianicolo e la decorazione della Cappella di San Luigi  nella chiesa di San Luigi dei Francesi.  Ancora più interessanti le storie di artiste e artigiane impiegate come “stampatrici”, “indoratrici”, “intagliatrici di legni e lapislazzuli”, “mosaiciste” e “capatrici di smalti”, attività che presuppongono specifiche competenze tecniche.

Fra i profili rintracciati nella carte vi è quello di Paola Blado (paula de bladis, si firma), moglie del famoso stampatore romano Antonio Blado che era nato nel 1490 a Mantova e aveva imparato i primi rudimenti dell’arte della stampa a Venezia nella bottega del suocero di Andrea Manuzio. Uno dei numerosi stampatori del Nord che nel Cinquecento presero il posto dei tedeschi che avevano dominato la scena. Non a caso la sua stamperia era nel Rione Parione a Campo de’ Fiori, nel Palazzo de’ Massimi che aveva ospitato nel ‘400 i prototipografi Pannartz e Schweynfuheym. Edita da Blado, (A B e l’aquila l’insegna tipografica) è la famosa Pianta di Roma di Leonardo Bufalini del 1551. Con Blado lavorò anche un illustre incisore come Ugo da Carpi e secondo fonti ottocentesche addirittura Michelangelo Paola ebbe un ruolo importate nella gestione della stamperia e una volta rimasta vedova, iniziata ai segreti del mestiere dal marito, con una buona preparazione culturale, la rilevò. Iniziò a firmare come “Paula, vedova di Antonio Blado stampatore”, pubblicando bolle, brevi dispense e confessionali col sigillo di San Pietro.

Personaggio molto interessante Francesca Bresciani, figlia d’arte”, al servizio della Fabbrica di San Pietro per le sue capacità artistiche e non perché erede di un familiare defunto. Secondo un documento scoperto recentemente sarebbe figlia di Francesco Bresciani, impegnato nel cantiere della Cappella Cornaro di Bernini a Santa Maria della Vittoria. A lei, insieme al marito Gerij Doyson e al ‘gioiellieroAntonio Capocio si deve la decorazione in preziosi lapislazzuli del Ciborio del Santissimo Sacramento in San Pietro per il quale tra il 1672 e il 1678 è attestata la sua collaborazione.

Altra personalità di grande spessore artistico è Lucia Barbarossa, intagliatrice di legno, sesta figlia di tale Giovanni Battista locatario dei principi Colonna di un appartamento  e di una bottega nel palazzo ai Santi Apostoli. Si sposò nel 1747 a vent’anni con l’intagliatore Giuseppe Corsini che aveva bottega come molti altri artigiani, al piano terreno del palazzo. Sarà lei alla morte del marito a ereditare la bottega famosa per avere realizzato oggetti di lusso per papa Benedetto XIV Lambertini fra cui l’apparato decorativo del “Caffeaus” nei giardini del Quirinale progettato da Ferdinando Fuga. Anche Lucia Barbarossa Corsini , alla morte del marito,  sarà  un’intagliatrice di successo lavorando  per i Borghese  e per  la  Fabbrica di San Pietro.  

Le donne del cantiere di san Pietro in Vaticano a cura di Assunta Di Sante e Simona Turriziani, con gli approfondimenti di Nicoletta Marconi, Giovanna Marchei e Sante Guido

Pagg. 267

Il Formichere

20.00 €  

 

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Senese di nascita e romana d’adozione. Iscritta all’Ordine Nazionale dei Giornalisti di Roma dall’81, ha pubblicato in modo continuativo per quotidiani e riviste cartacee: da “La Voce Repubblicana” a “Mondo Economico”, a “ Il Tempo”, “il Giornale”, “Il Sole 24 Ore”. E per giornali online come “Visum” e “Quotidiano Arte”. Senza contare interventi saltuari in numerose pubblicazioni fra cui “Le città” e il “Corriere della Sera”. Sempre di cultura e società in senso lato e in modo specifico di archeologia, architettura, arte e musica. E di libri, di Roma e del Vaticano.

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