Come consuetudine da diversi anni, esattamente dodici con questa nuova rappresentazione, non è agosto al Silvano Toti Globe Theatre di Roma, nella splendida cornice di Villa Borghese, senza la rappresentazione del Sogno di una notte di mezza estate, la commedia più famosa di William Shakespeare. Così anche quest’anno, fino al 26 agosto, torna il bellissimo spettacolo, sempre per la regia del compianto Riccardo Cavallo, scomparso cinque anni fa, nella traduzione di Simonetta Traversetti.
Come consuetudine da diversi anni, esattamente dodici con questa nuova rappresentazione, non è agosto al Silvano Toti Globe Theatre di Roma, nella splendida cornice di Villa Borghese, senza la rappresentazione del Sogno di una notte di mezza estate, la commedia più famosa di William Shakespeare. Così anche quest’anno, fino al 26 agosto, torna il bellissimo spettacolo, sempre per la regia del compianto Riccardo Cavallo, scomparso cinque anni fa, nella traduzione di Simonetta Traversetti. Seppure sia ormai una tradizione, non ci stanchiamo mai di rivedere e di apprezzare la semplicità e la maestria con tutti gli interpreti intrecciano riso e sorriso amaro, fantasia e razionalità.
Sogno di una notte di una mezza estate è una delle prime commedie scritte dal Bardo, una delle più popolari e delle più difficili da capire. La grandezza di Shakespeare sta nell’aver saputo coinvolgere tre mondi diversi, ciascuno con un suo distinto linguaggio: quello delle fate che alterna al verso sciolto, canzoni e filastrocche, quello degli amanti dominato dalle liriche d’amore e quello degli artigiani, dove la prosa di ogni giorno è interrotta dalla goffa parodia del verso aulico. Il mondo è folle e folle è l’amore. In questa grande follia della natura, l’attimo di felicità è breve. Un richiamo alla malinconia che accompagna tutta la vicenda.
E’ abbastanza difficile traslocare dal mondo di Teseo, duca di Atene, e Ippolita, regina delle Amazzoni, che stanno per celebrare il loro matrimonio, a quello rappresentato dal bosco incantato dove comanda Oberon, a Titania. Trasponendo il concetto all’attualità, al mondo d’oggi, della supremazia degli dei, dell’irrazionale, sul mondo terreno, le cose non cambiano.
Seppur difficile, c’è da apprezzare la recitazione in maniera impeccabile in versi, muovendosi come se nulla fosse sul palco, simulando uno scontro fisico, come quello della scena dove Lisandro e Demetrio, per l’incantesimo che si è venuto a creare, sono entrambi perdutamente innamorati di Elena e lottano per lei. Così vediamo la triste e sola Ermia, rifiutata dal suo innamorato Lisandro, camminare con un trolley quasi moderno nel bosco.
E’ bastata una pozione di succo di fiore per cambiare i sentimenti di due giovani, proprio perché l’animo umano è facile da corrompere, come fa notare Shakespeare spesso nei suoi versi. Così da donna contesa tra due bei ragazzi, immediatamente Ermia rimane una ragazza sola, perduta e nessuno prova più interesse per lei. E pensare che si era messa anche contro suo padre per amore di Lisandro. Ed ecco che la sorte muta: Elena, che prima era stata rifiutata malamente da Demetrio, è contesa ora da lui e da Lisandro, rapiti dal suo fascino.
Non crede a sé stessa e pensa che sia stata tutta una mossa di Ermia e delle sue amiche per burlarsi di lei. Ma tutto questo intrigo altro non è che un capriccio di Oberon e di un errore del suo folletto Puck, caratteristica figura creata dal Bardo. Loro sono come dei burattinai che muovono i fili del destino dei quattro giovani che si divertono a vederli in quello stato un pò surreale e irrazionale. Ma ecco che, a rompere questa particolare atmosfera, si presentano alla ribalta gli artigiani ateniesi che devono mettere in scena una tragedia per le nozze di Ippolita e Teseo.
Sono tutti divertenti, buffi, si esprimono in dialetto, danno vita ad una comicità che sembra quasi attuale, rompendo quell’incantesimo fiabesco dell’amore. Poi, come per incanto, tutti si risvegliano da quello strano sonno mentale e tutto torna come prima, anche se è difficile inquadrare questa commedia in una precisa epoca storica; il lieto fine è assicurato e una voce dall’alto ricorda che “Siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni, e la nostra vita è circondata dal sonno”.
Il finale è da brividi. Vedere il cast riprendere lentamente la via del palco con una lanterna “illuminando” lo sguardo dello spettatore. Gli occhi sognanti di chi assiste si spostano lentamente verso il centro della scena, luogo nel quale gli attori ricevono ovazioni e standing ovation.
Eccellenti tutti gli attori, ma in particolar modo Marco Simeoli (Peter Quince), Roberto Stocchi (nel doppio personaggio di Francis e Flut), Claudio Pallottini (Tom e Snaut), Gerolamo Alchieri (Nick e Bottom), Andrea Pirolli (Snug). Le storie d’amore dei quattro protagonisti, Ermia (Valentina Marziali), Elena (Federica Bern), Lisandro (Marco Paparella), Demetrio (Sebastiano Colla), divertono, ricorrendo anche ad efficaci espedienti mimici. Esilaranti le vicende del mondo fatato di Titania, Regina delle fate (Claudia Balboni), Puck (Fabio Grossi) e Oberon, Re degli Elfi (Carlo Ragone). Il passaggio dal mondo degli innamorati a quello fiabesco messo in scena da questi tre personaggi si configura nell’ottima scelta registica originale ed azzeccata.
Scarna ma incisiva la scenografia curata da Silvia Caringi e Omar Toni, così come i costumi originali disegnati da Manola Romagnoli. Ben studiato l’effetto metateatro, ottima la recitazione sciolta di tutti gli attori, così come sono sciolti i movimenti e l’articolazione delle gestualità. Senz’altro da vedere per immergersi per due ore in un mondo fiabesco e d’altri tempi.
Giancarlo Leone