Molto giustamente, per la sua complessità e per il lungo svolgersi della vicenda, nel 1904, il filosofo siciliano ritenne di pubblicare a puntate il suo romanzo, un romanzo che riflette esattamente quelle che erano le sue vicissitudini in quel periodo della sua vita.
Daniele Pecci riesce ad adattare in maniera egregia per il teatro, e ad interpretare, un testo difficile, complesso, con al centro un personaggio, anzi tre in uno, che parla di sepoltura di una identità, di apparente rinascita, di definitiva e comunque precaria rinascita a nuova vita. Lo fa con la regia di un Gabriele Ferro superlativo in grado di far tenere in un equilibrio esistenziale quei tre personaggi sempre in bilico tra morte e rinascita a nuova vita.
La complessa trama si svolge, dallo scorso 6 novembre, sul palcoscenico del Teatro Quirino Vittorio Gassman all’interno di una biblioteca polverosa nella quale viene sviluppato il pensiero pirandelliano che accosta il nome del protagonista Mattia Pascal a quel senso di morte che aleggia su tutta la rappresentazione.
Mattia (ovvero il matto) e Pascal (la Pasqua, la resurrezione) sono sinonimi di contraddittorietà che rappresentano in termini scenografici, sinteticamente, la vita di un personaggio che prima muore ed approfitta della sua morte per cambiare nome sfuggendo, egli crede, ad una serie di convenzioni sociali che però gli si frappongono come ostacoli nel corso della sua nuova vita alla quale assegna il nome umano di Adriano Meis.
Questo Adriano è un Daniele Pecci dai mille risvolti che tenta di sfuggire al nulla di una vita posticcia, conclusasi con un suicidio e con il definitivo riconoscimento della impossibilità di riconoscersi sia come individuo che come essere sociale. Una serie di incalzanti flash back vissuti all’interno della biblioteca, simbolo del tentativo di rinascita che Adriano pone in atto, illustrano la complessa vicenda e costituiscono il sintetico svolgimento di una tragicommedia, il racconto di una vita assurda descritta egregiamente in palcoscenico per evidenziare le tante tappe che la costituiscono.
Il senso di prigionia che infonde la biblioteca dalle alte teche all’interno della quale si rinchiude simbolicamente il protagonista grava su tutta la commedia ed è perfettamente adatto alla descrizione che il regista Guglielmo Ferro ha inteso imprimere al lavoro, alla perfetta riuscita del quale contribuisce uno stupendo don Eligio (Rosario Coppolino) che assorbe in se tutte le scene, le pene, i pseudo successi descritti da un Pecci – Adriano che, in fondo, ma molto lontanamente, sembra anche voler rappresentare il triplice protagonista anche sotto un velato aspetto umoristico.
Gli altri numerosi personaggi che compongono la vicenda sono tutti degni di menzione, da Diana Hobel ad Adriano Girardi, da Vincenzo Volo a Maria Rosaria Carli per comprendere Marzia Postogna e Giovanni Maria Briganti che coralmente ed ognuno per la propria parte, contribuiscono alla perfetta riuscita del psico dramma che descrive ancora una volta le manchevolezze umane, gli egoismi, gli interessi economici e non di un ambiente che non è soltanto quello del piccolo paese di Miragno nel quale è ambientato ma che si rivela, anche per la perfezione delle interpretazioni, universale.
Il Fu Mattia Pascal resterà in palcoscenico fino al 18 novembre prossimo.
Andrea Gentili