A Reggio Emilia in Palazzo Magnani è aperta e lo resterà fino al 3 marzo 2019, una grande esposizione dedicata a Jean Dubuffet (1901-1985) dal titolo “Jean Dubuffet L’arte in gioco. Materia e spirito 1943-1985”. E’ curata da Martina Mazzotta e Frédérich Jaeger con 140 opere, delle quali 30 dei maggiori artisti dell’Art Brut. Catalogo Skira.
Quest’importante mostra dedicata a uno dei maggiori artisti del XX secolo, colui che coniò il termine Art Brut per indicare l’arte spontanea di coloro che non avevano mai studiato né conoscevano alcun movimento artistico. Per questo si recò anche in vari manicomi per ricercare la naturalezza con la quale si esprimevano alcuni internati. La teoria è insita in questa sua frase: “La vera arte è dove nessuno se lo aspetta”.
Con questo assunto l’esposizione si sviluppa con 140 opere tra dipinti, disegni, grafiche, sculture, libri d’artista, dischi provenienti in gran parte dalla Fondation Dubuffet di Parigi, dal Musée des Arts Décoratif sempre di Parigi, nonché musei e collezioni private francesi, svizzere, austriache e italiane, con 30 lavori dei protagonisti dell’Art Brut come Aloise, Wölfli, Wilson, Walia, Hauser e Tschirtner, ormai inseriti nell’arte del XX e XXI secolo.
Le tre sezioni principali si sviluppano intorno ai temi di materia e spirito. La prima va dal 1945 al 1950. Per inciso bisogna dire che l’artista pur avendo frequentato per sei mesi l’Accademia Julian di Parigi e frequentato artisti come Suzanne Valadon, Fernand Léger, Raoul Dufy decise di lasciare l’arte e dedicarsi alla gestione dell’azienda familiare vinicola di Buenos Aires, riprendendo poi a dedicarsi solo all’arte nel 1941. Lo stile delle sue opere fino al 1944 è influenzato dall’astrattismo di Paul Klee.
Finalmente a 41 anni Dubuffet arriva al concetto dell’Art Brut con la dichiarazione: “La vera arte è dove nessuno se lo aspetta, dove nessuno ci pensa né pronuncia i suo nome. L’arte è soprattutto visione e la visione, molte volte, non ha nulla a che vedere con l’intelligenza né con la logica delle idee.” Questa sezione comprende i cicli Mirobolus, Macadam et Cie à Matèriologies.
La seconda va dagli anni 1962 al 1974 con i lavori della serie L’Ourloupe eseguita mentre era al telefono che si tradurrà più tardi nella scultura monumentale.
La terza nella quale l’artista impiega un cromatismo più intenso, va dal 1976 al 1984 con le serie Theatre di mémoires e Non Lieux, dove il forte gesto pittorico svela, secondo l’artista, “non più il mondo ma l’immaterialità del mondo.”
E poi dagli anni ’60 è il suo dedicarsi alla musica e qui la sua protesta consiste nell’ aggiungere tutti i tipi di strumenti anche elettronici, in mostra con video musicali e sei dischi prestati dalla Galleria Cavallino di Venezia. E ancora i libri d’artista dove è introdotto il termine fonetico jargon con l’intento di decostruire la lingua francese. Sono esposti anche costumi e scenografie di Coucou Bazar, opera di arte totale che contempla pittura, scultura, teatro, danza e musica, dove l’artista ha lavorato dal 1971 al 1973 presentata anche a Torino in collaborazione con la FIAT nel 1978.
Una mostra che presenta Dubuffet come artista totale.
Emilia Dodi