Felice Sciosciammocca, forse una delle più conosciute maschere di Eduardo Scarpetta, rivive in versione assolutamente particolare sul palcoscenico del Teatro Eliseo adattata, per una formidabile Compagnia di attori napoletani capitanata da uno strepitoso Lello Arena, che di tale versione ne è l’autore a quattro mani con Luciano Melchionna qui anche in veste di regista.
Si tratta di un lavoro, tutto recitato in dialetto napoletano quasi puro, che partendo lentamente da un sotterraneo ingombro di cose inutili e di rifiuti come gli esseri umani che ivi coabitano va via via sempre più prendendo piede fino ad arrivare, con un improvviso colpo di scena (è il caso di dirlo perché proprio la scena in palcoscenico, improvvisamente cambia mutando significativamente dal tono scuro, triste, limitativo assunto nella prima parte dello spettacolo, ad un fragoroso bianco dominante che avvia la narrazione della commedia verso il finale) che, come nella previsione di Scarpetta, è a buon fine.
I personaggi in scena si muovono, nel corso della prima parte del ben elaborato spettacolo, in un ambiente che riesce con molta evidenza a porre in particolare risalto la loro miseria materiale ed umana, litigi, schermaglie tra donne, amori soffocati, fame in quantità tale da muovere l’intero spettacolo, speranze e desideri semplici che non potranno mai essere soddisfatti anche attesa la situazione creata proprio da quel Felice che è il protagonista, ma non l’unico, che domina la scena; ed Arena interpreta il fedifrago con una intensità tale che attrae lo spettatore inizialmente concentrato sul definire il perché di una geometrica struttura in ferro e che, compreso il significato di tale messinscena, riesce a godersi lo spettacolo anche a prescindere dalla iniziale tristezza che lo domina.
Gli spazi delimitati dalla geometria limitativa della struttura all’interno della quale si muovo i protagonisti, assumono chiaramente il significato di quanto la condizione umana di chi li abita sia invariabile pur nella sua dinamicità impressa dalla vita che, comunque, scorre, anche attraverso le poche o nulle possibilità di sfamarsi; l’amore tra la figlia di una delle due donne di Felice Sciosciammocca (di Concetta) è l’argomento intorno al quale ruota lo sviluppo della tragicommedia: da affamati a principi, da poveracci a signori, gli stessi personaggi, mistificati, che vivono nel sotterraneo di un palazzo nobile ( di un nobile arricchito che è rimasto comunque un rozzo ignorante ) danno vita ad meraviglioso exploit di finzioni, di bugie mal controllate, simpaticamente allegoriche, assolutamente pregne di grande comicità, gradevoli e comprensibili sia pur nelle loro poco velate allegorie per far si che tale amore si concretizzi allo scopo di sfamare l’intero gruppo.
Ma l’argomento di base, risolte tutte le finzioni che Felice e Co. pongono in atto per far sposare, tra varie vicissitudini descritte ed interpretate in maniera veramente esilarante la ragazza è la fame, quella fame derivante da una povertà, non si sa se generata da poca voglia di lavorare, o se da vera impossibilità di trovare un lavoro (Scarpetta sembra propendere per la prima ipotesi ).
E come tutte le cose, tutto è bene quello che finisce bene: la bugie si mascherano ma si perdonano, le gelosie tra donne si appianano, i nobili appaiono simili ai poveri affamati (ma mangiano tutti i giorni), le battute esilaranti (anche quelle a sfondo sociale) si susseguono in un tourbillon di risate che, per un paio d’ore, fanno dimenticare che la realtà descritta dall’autore napoletano esisteva, esiste ed esisterà sempre perché l’anima della commedia è proprio quella: la descrizione delle differenze tra miseria e nobiltà.
Differenze che un allegro spettacolo come quello messo in scena da Arena sembra appianare e che in ogni caso vale la pena di essere visto e “vissuto” come se ognuno di noi si trovasse in palcoscenico perché i personaggi, assolutamente adeguati ed egregiamente diretti, formano nello spettatore l’idea che le differenze sociali evidenziate e continuamente poste a confronto con similitudini di eccezionale parallelismo esistono, e come!
Un accenno agli attori ed alle singole parti: Lello Arena, spettacolare ed assolutamente in sintonia, è naturalmente Felice Sciosciammocca, mentre le sue due mogli sono rispettivamente Giorgia Traselli (Concetta, la prima) e Maria Bolignano (la seconda) entrambe assolutamente adatte ai loro ruoli.
Un personaggio maschile (Peppeniello) interpretato magistralmente da una splendida e versatile attrice, Veronica D’Elia, spumeggiante, addirittura travolgente nella sua foga interpretativa, mentre Carla Ferraro è la procace ballerina che si cura di conquistare un dandy del quale non si comprende la capacità economica, forse fittizia, interpretato da Ausiello Raffaele; uno sguardo anche alla parte di Gaetano che Tonino Taiuti rende simpaticamente comico.
Insomma un insieme ben congegnato che rende i contorni della commedia accattivante, anche grazie ai fantastici costumi ideati da Milla ed alla regia attenta, adatta al lavoro, di un eccezionale Luciano Melchionna.
Lo spettacolo tiene felicemente banco fin dallo scorso 27 dicembre e resterà in cartellone fino al prossimo 20 gennaio.
Andrea Gentili