Regista conquistatosi una consistente nicchia di spettatori nel circuito festivaliero, autore apprezzato dalla critica come uno dei più significativi esponenti di una sorta di new wave del cinema greco, Yorgos Lanthimos si cimenta per la prima volta, con questo La favorita, nel cinema in costume. Lo fa prendendo spunto da un vecchio soggetto scritto dalla sceneggiatrice Deborah Davis, che raccontava la lotta tra la consigliera Sarah Churchill e sua cugina Abigail Masham per conquistarsi i favori della regina Anna, nell’Inghilterra del XVII secolo.
Dopo aver diretto una serie di opere ostiche quanto affascinanti, con simbologie spesso ermetiche, e il minimo comune denominatore di un futuro/presente alternativo distopico, Lanthimos sembra con questo film voler alleggerire i toni del suo cinema, prendendosi meno sul serio. È in effetti un’opera divertita e volutamente pop, questo La favorita, che mette in scena un divertente balletto di corte con toni eccessivi e grotteschi, raccontando un microcosmo femminile in cui il potere si lega all’idea del sesso e della sottomissione.
La Abigail col volto di Emma Stone, ex nobile caduta in disgrazia, è in effetti il prototipo di una dark lady ante litteram, capace di muoversi disinvoltamente tra le lenzuola e la politica, tra inconfessabili vizi privati e manifeste ambizioni di potere, scalzando metodicamente sua cugina dai favori della fragile e capricciosa regina interpretata da Olivia Colman. Proprio la lotta di potere e sessuale tra il personaggio della Stone e la consigliera col volto di Rachel Weisz, costituisce il cuore del film, in un triangolo che il regista, fin da principio, pennella in toni grotteschi e sopra le righe.
Non ambisce a una precisa ricostruzione storica, il film di Lanthimos, né tantomeno a fare un ritratto puntuale e realistico della realtà di corte nell’Inghilterra settecentesca.
L’operazione sembra piuttosto quella di una cinica riflessione sul potere e sulle sue implicazioni, sulla portata sessuale in nuce di qualsiasi rapporto che preveda uno squilibrio di potere, su un universo femminile nobiliare che si autocannibalizza quasi con gioia, all’ombra dei rituali di corte e di un’aristocrazia ormai decadente e in procinto di lasciare il palcoscenico della politica.
Si diverte, Lanthimos, nel dirigere questo La favorita, e sembra trovare la chiave di volta per coinvolgere lo spettatore nel suo (volutamente) vacuo balletto di sesso, potere e dominazione: lo fa con uso sovrabbondante dei grandangoli, distorcendo metodicamente la percezione dello spazio, esaltando il nitore degli interni con un’illuminazione antinaturalistica e capace di sfruttare al meglio il digitale, giocando sui cliché del gotico e portandoli agli estremi. Un gotico, quello del film, che predilige l’effetto di senso immediato alla costruzione, qui solo embrionale, di una narrazione coerente.
Già presentato in concorso nell’ultima Mostra del Cinema di Venezia, dove ha ottenuto il Leone d’Argento e la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile – quella di Olivia Colman -, tra i protagonisti dei recenti Golden Globe, dove la stessa Colman si è aggiudicata il premio nella categoria delle commedie e dei film musicali, La favorita non fa che confermare la versatilità di un cineasta interessante, che qui mostra anche un’inedita “vicinanza” al pubblico. Un modo più lieve, ma non meno efficace, di mostrare le degenerazioni e le inquietudini della natura umana, qui nascoste sotto l’accattivante confezione.
Marco Minniti