Difficile dire qualcosa di nuovo, nel 2019 al cinema, su un tema come quello della possessione demoniaca. Un filone che da L’esorcista in poi ha generato figli e figliocci, al punto da diventare quasi un genere a sé, con proprie regole e stilemi. Ci ha provato, in questo L’esorcismo di Hannah Grace, il regista olandese Diederik Van Rooijen, che ha fatto se non altro il tentativo di mescolare il tema dell’esorcismo a quello del confine tra la vita e la morte, utilizzando un’ambientazione analoga – un obitorio – a quella del recente Autopsy di André Øvredal.
Inizia invero come il più classico dei film sulla possessione, L’esorcismo di Hannah Grace, con una ragazza legata a un letto, e un rito che da subito prende una piega drammatica. Dopo la morte di uno degli officianti, è il padre della giovane a privare sua figlia della vita, sperando in questo modo di spingere fuori dal suo corpo l’entità malvagia. Successivamente, l’azione si sposta in un obitorio: qui l’addetta Megan, ex poliziotta con alle spalle un episodio tragico, prende in consegna il corpo della ragazza. Ma, appena il cadavere fa il suo ingresso nell’obitorio, fatti inquietanti iniziano a verificarsi, provocati dal demone che evidentemente ancora alberga nel corpo…
Se è vero che il film di Diederik Van Rooijen ha almeno il merito di introdurre una variante “obitoriale” in un filone largamente standardizzato, è anche vero che i risultati sono qui, diciamolo senza mezzi termini, molto modesti. La sceneggiatura prova goffamente a caratterizzare il personaggio della protagonista col volto di Shay Mitchell, introducendo il tema della dipendenza e del disturbo post traumatico da stress, e iniziando a giocare col confine tra realtà e allucinazione: suggestioni che tuttavia non sono che accennate, soffocate da uno sviluppo che presto mette le carte in tavola, portando il film nella direzione più risaputa.
Se l’iconografia del genere è rispettata alla lettera, con l’oggetto di possessione che assume le immancabili pose e movenze da ragno, manca altresì alla regia qualsiasi elemento di fantasia o reale personalità: la gestione degli spaventi, tutti piuttosto prevedibili, è demandata unicamente alle (poche) sequenze-shock, e alla più risaputa gestione degli elementi di buio e luce. Proprio a questo proposito, la location in sé suggestiva dell’obitorio, con i suoi corridoi immersi nella penombra, viene malamente sciupata, restando un mero elemento di contorno per le scorribande del corpo rianimato.
Manca del tutto, in questo L’esorcismo di Hannah Grace, quella base di credibilità minima – pur nel contesto di una vicenda fantastica – che dovrebbe garantire alla storia un minimo di sospensione dell’incredulità: quando si arriva a vedere, in una scena, un corpo fermo in un luogo, e successivamente, dopo il primo stacco di montaggio, lo stesso corpo in movimento altrove (senza che ci sia stata la minima ellissi temporale), anche l’appassionato più “di bocca buona” non può che alzare le mani, prendendo atto della scarsissima cura con cui è stato realizzato il tutto.
Si resta sinceramente stupiti, e non certo in positivo, per il fatto che un prodotto come questo sia oggetto di distribuzione in sala, mentre il genere pullula di opere decisamente più valide e interessanti, condannate all’invisibilità, alla distribuzione diretta in home video, o al palcoscenico inevitabilmente “di nicchia” di Netflix. Un’ottica distributiva che evidentemente considera le macro-tematiche – in questo caso quella dell’esorcismo – come preponderanti rispetto ai modi cui queste vengono affrontate. A nostro avviso, semplice miopia.
Marco Minniti