“Il fascino dell’Opera di Pechino è il fascino di una bellissima favola per bambini animata da imperatori, principi e principesse tutti molto rispettosi dei loro ruoli – racconta Marco Plini – È così che l’ho approcciata, nel rispetto di un teatro secolare che porta sul palcoscenico un’antropologia viva, con la soggezione del novizio invitato a partecipare a un rito antico e misterioso. Turandot nasce da questo rispetto, da questa curiosità e da questo mistero”.
“Ho immaginato di portare il pubblico europeo a entrare in un sogno bellissimo e colorato che non possiamo capire fino in fondo, ma le cui immagini ci attraggono e risucchiano in un vortice di colori brillanti e suoni rumorosissimi, che man mano prendono senso, un senso profondo, atavico, che ci colpisce nel profondo ma a cui non riusciamo a dare un nome. Come i principi – commenta il regista – che si recano a palazzo per cercare di risolvere gli enigmi nella speranza di poter sposare la principessa di incomparabile bellezza, restiamo stregati da un’immagine che incanta. Ma Turandot è una favola nera, fatta di sangue, teste tagliate, vendette e paure. Il sogno, atto dopo atto, si trasfigura, diventa sempre più violento, più spaventoso: la fiaba diventa allucinazione. Un sogno così – conclude – non può avere un lieto fine, la morte di Liù non può essere dimenticata nel nome dell’amore per quanto folle e principesco esso sia”.
E’ così che il regista Marco Plini racconta il suo primo confronto con il classico della Turandot, proposta in prima assoluta per un regista italiano in dialogo con la grande tradizione dell’Opera di Pechino. La Compagnia Nazionale dell’Opera di Pechino, fondata nel gennaio 1955, è una organizzazione nazionale che fa capo direttamente al Ministero della Cultura della Repubblica Popolare Cinese.
Lo scambio culturale è uno dei maggiori obiettivi della Compagnia, che si è esibita in tutto il mondo, in oltre 50 paesi e in 5 continenti, guadagnando una straordinaria fama internazionale, contribuendo a promuovere gli scambi culturali fra il popolo cinese e i popoli del mondo intero.
Nella rappresentazione in scena al Teatro Argentina si avverte una mescolanza che unisce al gusto visionario d’invenzione italiana all’esotismo orientale, ove la storia della principessa bella e temibile, orditrice d’inganni e di trame terrifiche solo musicata da Giacomo Puccini, vede finalmente consacrata la sua vicenda sul palcoscenico. Era quello del Teatro alla Scala, il 25 aprile 1926, quando i cuori degli spettatori milanesi furono travolti dalla potenza del Nessun dorma, in cui il pretendente Calaf, vincitore dei tre enigmi e custode con Liù e Timur del suo segreto, rigonfiando il petto forte intonò “all’alba vincerò”.
Assisteremo a questo intrigante mèlange italo-cinese al Teatro Argentina di Roma dal 5 febbraio con una Turandot…autenticamente con occhi a mandorla!
Francesca Pistoia