Se per “letizia“ vogliamo intendere qualcosa di simile a momenti felici, ebbene questo lavoro che Adriano Evangelisti ha ideato e del quale è regista, ben si presta ad esprimere un insieme di sentimenti, di sensazioni, di atteggiamenti che poi si riducono a qualificare le tre donne oggetto della commedia come suora, sposa, puttana.
E non tanto per una critica al maschile come a tutta prima il sottotitolo del lavoro potrebbe far pensare ma quanto perché le tre donne che si raccontano, a cura di una stupenda Agnese Fallongo versatile e poliedrica, in grado di calarsi in tre personaggi contemporaneamente ma non solo, confrontandoli anche nello stesso momento in cui li recita, all’interno di un periodo che coinvolge due guerre mondiali ed ambienti geografici diversi.
Tre donne, tre storie, tre atteggiamenti che a distanza di mezzo secolo quasi sembrano convergere in un’unica allucinante realtà perché la prima delle tre, la Letizia giovane sposa che parte dalla sua Sicilia in cerca del marito che, appena impalmato, è costretto ad andare al fronte nel lontano Friuli, assume la veste di“portatrice di gerle” allo scopo di ritrovare il suo sposo: una profonda e grande prova d’amore che la Fallongo interpreta splendidamente rendendo talmente bene, in forma sintetica, il senso dell’ambiente della sua Sicilia e della sua personale disperazione da incantare lo spettatore che resta così immerso nella narrazione, a metà fra il comico ed il disperato.
Letizia la prostituta, la seconda donna è una ragazza orfana cresciuta in un paese dell’area pontina che dopo essere divenuta maggiorenne abbandona , agli inizi del secondo conflitto mondiale, l’ospizio nel quale era ospitata per raggiungere Roma, città nella quale le donne erano molto ricercate per sopperire alla mancanza degli uomini che avevano dovuto ottemperare agli obblighi militari, con la speranza di un futuro agevole e che, invece, cade nel vortice della prostituzione: soltanto l’amore per un ragazzo riuscirà a salvarla da un ulteriore prosieguo della trista attività.
La terza Letizia, una suora veneta come le donne del nord narrate dalla Letizia sposa siciliana, costituisce il filo che unisce le due storie precedenti: è una donna che ha commesso degli errori e che soltanto in età avanzata decide di prendere i voti e che, avendo avuto cura della Letizia orfanella, concede il suo benestare al trasferimento della ragazza presso una sua zia che aveva promesso di occuparla come donna di servizio nella sua casa che, però, è un bordello nel quale sarà costretta ad operare. Soltanto l’amore per un giovane riuscirà a salvarla.
Molto gradevole la dialettica espressiva delle tre donne che si esprimono ognuna nel dialetti di ambientazione delle relative storie: in siciliano, in romano, in friulano: di tali modalità espressive va dato atto ai due protagonisti in scena che anche in tale contesto riescono ad essere davvero ammirevoli.
Con “Letizia va alla guerra” Evangelisti rende omaggio alle donne, per lo più sconosciute, che hanno dato corso alla storia e nelle quali quelle attuali poterebbero addirittura identificarsi ed, in grande sostanza, all’amore salvifico. Molto bello l’intreccio tra le tre storie che l’unica protagonista rende agevolmente comprensibile ed anche assai di facile intendimento, in particolare nella identificazione del nome di persona “Letizia” con l’omonimo sostantivo che vuole invece rappresentare quel sentimento di gioia intima e serena, di sana allegria che alle tre donne oggetto della commedia in scena fino al 17 febbraio al teatro della Cometa, purtroppo, non è dato conoscere.
A fianco della splendida Fallongo l’eccellente Tiziano Caputo autore dell’arrangiamento e dell’accompagnamento musicale ed ottima spalla dell’attrice la quale gestisce un laboratorio teatrale per principianti che non a caso è rivolto ad allievi che coltivino interessi sia di carattere teatrale che musicale:proprio come nel lavoro descritto.
Andrea Gentili