Regista e attrice proveniente dalla pubblicità e dal videoclip, messasi in luce oltre dieci anni fa con la commedia al femminile Caramel, la libanese Nadine Labaki si è guadagnata da qualche anno una discreta notorietà nel circuito festivaliero internazionale, con la sua singolare esperienza di regista donna, operante in una realtà complessa e magmatica come quella del Libano. Una realtà, quest’ultima, che la Labaki continua a esplorare con questo Cafarnao – Caos e miracoli – insignito del premio della Giuria all’ultimo Festival di Cannes – che esplora il tema dell’infanzia nella moderna società libanese.
Il film presenta la vicenda di Zain, dodicenne cresciuto in una famiglia povera di Beirut, rinchiuso nel carcere minorile per motivi che non ci vengono dapprima spiegati; il ragazzino ha appena intentato una singolare azione legale contro i suoi genitori, accusati letteralmente di averlo messo al mondo. Da questo momento, seguiamo a ritroso la storia di Zain, la sua fuga da casa dopo il matrimonio forzato della sorella undicenne, il suo vagare per i bassifondi, l’incontro con l’etiope Rahil, immigrata clandestina con un figlio illegittimo, la solidarietà con quest’ultima e la forzata separazione.
La regista dimostra di conoscere bene i codici del cinema sull’infanzia – specie di quello occidentale – declinandoli in un’atmosfera che incrocia il romanzo di formazione con l’impegno civile, una parabola di crescita personale à la Antoine Doinel (con le dovute proporzioni) con un impietoso ritratto della società libanese attuale. Siamo di fronte, qui, a una vicenda di crescita dolorosa e forzata, dal taglio quasi dickensiano, che però si inserisce in un racconto di fattura neorealista, in cui l’odissea del protagonista non può essere disgiunta dal suo – peculiare – contesto sociale.
In tutto ciò, la regista non ha paura a mettersi, fin dalle prime inquadrature, “ad altezza di bambino”, non presentandoci altro punto di vista se non quello del protagonista, l’ottimo esordiente Zain al-Rafeea – immigrato siriano, senza nessuna precedente esperienza di recitazione. Lo sguardo della regista su un degrado urbano ritratto da vicino, innervato da un’umanità composita e in perenne lotta intestina, va a toccare esplicitamente temi come quelli dell’immigrazione clandestina, della condizione della donna, della brutalità del sistema carcerario libanese.
Visivamente elegante, dalla temperatura emotiva inevitabilmente alta, Cafarnao – Caos e miracoli è stato da taluni accostato al cinema dei fratelli Dardenne: ma il rigore dei due cineasti belgi si pone, di fatto, su un piano diverso. A Nadine Labaki interessa tanto lo stimolo intellettuale – quello della rappresentazione naturalistica, priva di filtri, di una realtà sociale complessa – quanto l’empatia richiamata con strumenti squisitamente cinematografici, a iniziare dalla colonna sonora, e dall’esplicitazione di una discesa in un inferno urbano di cui nulla ci viene risparmiato.
In tutto ciò, il film rischia a volte di strafare, lasciandosi andare – specie nella sua parte conclusiva – a toni melò troppo espliciti, privi del necessario rigore; la crudezza della rappresentazione si stempera in una ricerca della consolazione e del contrappasso quasi favolistico, con sviluppi narrativi decisamente poco credibili. La forza del racconto viene così in parte diluita nella frazione finale, senza tuttavia che il messaggio ne perda in efficacia complessiva: la costruzione narrativa della regista, contrassegnata – pur con qualche sbavatura – da un’apprezzabile durezza, è riuscita a cogliere complessivamente nel segno.
Marco Minniti