Dolor y Gloria di Pedro Almodovar

0

Ex star della macchina da presa soffre di una crisi creativa che dura da anni come i dolori fisici che lo affliggono costringendolo ad imbottirsi di medicinali e a condurre una vita insignificante e passiva. Salvador Mallo è il protagonista di Dolor y Gloria (in concorso al Festival di Cannes) film fortemente autobiografico di Pedro Almodovar, il regista spagnolo tra i più premiati (2 Oscar per Tutto su mia madre e Parla con lei) e amati dal pubblico non solo del suo Paese.

Giunto alla soglia dei 70 anni e al suo 22 esimo film Almodovar ritrova per l’ottava volta anche il suo attore feticcio, (facile il paragone con la coppia Fellini- Mastroianni) uno straordinario Antonio Banderas (in odore di Palma d’Oro) che, tanto per citare una precedente collaborazione tra i due, abita la pelle del suo regista con un’intensità e una verità che è qualcosa in più di una riuscita prova attoriale.

I vestiti presi dall’armadio di Almodovar, i capelli resi simili a quelli del regista e la sua casa, replicata nei colori e gli arredamenti: l’immersione di Banderas-Mallo-Almodovar è totale pur restando l’attore un alter ego con una vita propria, anche come personaggio che intraprende un viaggio nella propria memoria. Perché Salvador Mallo ha perso la voglia di vivere e la capacità di creare?

I ricordi arrivano improvvisi o sommessi, i rimpianti e la nostalgia di un passato nel quale è dolce cullarsi ma che ferisce e fa soffrire. L’irrisolto nella vita di Salvador (che l’ha rinchiuso tra le pareti della sua casa e della depressione) diventa incontro reale e non, con le persone e gli anni importanti della sua vita.

 

Bambino, nella provincia spagnola degli anni ’60 in pieno franchismo, con la mamma (Penelope Cruz) donna forte, vero pilastro della famiglia che intuisce il primo sconvolgente turbamento sessuale di suo figlio davanti alla bellezza di un giovane muratore (l’attore esordiente Cèsar Vicente) dal quale sarà velocemente allontanato per andare a studiare in un collegio religioso.

 

Il rapporto che si riallaccia con l’interprete (l’attore Asier Etzeandia) tanto odiato e con il quale non parla da decenni, dopo la problematica realizzazione di Sabor il grande successo cinematografico del glorioso passato di Mallo. E poi Federico (l’attore Leonardo Sbaraglia) primo, forse unico grande amore del regista, nato nella palpitante euforia del post franchismo nella Madrid degli anni 80.

Una tac alla schiena risolutiva, un acquerello, il delicato schizzo di una luminosa e innocente infanzia (la cui realizzazione è accompagnata da Come Sinfonia dalla voce di Mina) che ritorna in una magica coincidenza nelle mani del suo legittimo proprietario. Tra ricordi e incontri, tra passato e presente il cerchio si chiude e torna la voglia di scrivere e girare, perché l’arte è per il regista la sola salvezza.

Ludovica Mariani

Nessun commento