“Scene da un matrimonio” al teatro Eliseo di Roma

0

Questo lavoro che il regista svedese Andrei Konchalosky dirige abilmente al Teatro Eliseo (dal 5 al 17 novembre prossimo ) non è altro che la riduzione, o se vogliamo l’adattamento, del celebre film, un vero e proprio capolavoro, che Ingmar Bergman scrisse e diresse nel 1973, volendo indagare sulle dinamiche dei rapporti coniugali ed al fine di dimostrare che, fatalmente, i legami che li sostengono si presentano sostanzialmente uguali, in ogni parte del mondo.

Ma, tenuto presente che l’Autore è svedese, occorre senz’altro rapportarsi a idee e visioni profondamente da quelle che nel nostro ambiente, situato più a sud della paese scandinavo sarebbero, e sono, assolutamente normali ma che da noi appaiono ancora tali.

 

Milenka e Giovanni sono i protagonisti della vicenda, una storia ambientata a Roma, che coinvolge innanzi tutto i loro interessi materiali e fisici oltre che profondamente psichici perché la vicenda, di per se abbastanza banale ed addirittura ricorrente, è proposta in forma di indagine psicologica sugli atteggiamenti dei due, che da una vita di coppia apparentemente felice precipitano, causa l’innamoramento di Giovanni per una studentessa, in una situazione carica di ambiguità e di apparenti “non sense”.

Milenka, tradita prima, sull’orlo del suicidio poi ma tuttavia decisa a rifarsi una vita, è la vera eroina di un format di vita di coppia che ormai ha infettato anche la nostra vita per come attualmente viene vissuta. E’l’eroina perché, decisa a sopravvivere al tradimento ed all’onta subita, tenta, fortemente ostacolata da Giovanni che si rifiuta egoisticamente, forse neppure rendendosene conto, di reagire volendo convivere con un altro uomo.

E’ un dialogo serrato, pieno di cattiverie, di bontà, di amore sotto tutti i punti di vista e di egoismo esposto e condotto in maniera a volte contorta ed apparentemente inspiegabile, ed altre volte in forma esplicita al punto da risultare sdegnosa, violenta anche, un dialogo sull’orlo dell’introspezione che rivela il contorsionismo esistenziale dei due protagonisti.

 

E tale contorsionismo esistenziale è, originalmente (Brecht docet) fortunatamente esposto al pubblico, nel corso della rappresentazione, dai due personaggi in scena che spesso comunicano agli spettatori quanto sta accadendo, quasi per guidarli in quel labirinto all’interno del quale lo svolgimento del dialogo serratissimo li introduce a forza.

 

L’abilità di una calda, appassionata, convincente Julia Vysotskaia, la Milenka della situazione, non è da meno della bravura e dell’abilità di Giovanni (Federico Vanni): insieme riescono a dare vita ad una interpretazione abbastanza facilmente assimilabile dal pubblico in sala, che certamente gradisce l’originalità del modo in cui lo spettacolo, originalmente scritto per una durata di trecento minuti e qui ridotta ad un’ora e tre quarti, viene portato a conclusione.

 

Un blitz di breve durata che vede scorrere in fretta i momenti salienti della storia dal tradimento, alla richiesta di divorzio, dalla constatazione, da parte di lui, che la studentessa lo ha stancato, fino al tentativo di riappacificazione attraverso un tentato approccio sessuale fra i due ormai ex, che irrimediabilmente fallisce.

 

D’un tratto Giovanni e Milenka si ritrovano sposati con partner diversi: una stanza solitaria illuminata da una debole candela circoscrive il proseguire della loro storia di ormai “amanti“ che seppur lontani fisicamente, restano idealmente collegati attraverso un labile filo di “amore“ vero, un amore che, però, non è  mai stato dimostrato. La stanza è evidentemente quel luogo all’interno del quale ritrovano se stessi, dopo le feroci prove che indubbiamente hanno sconvolto la loro vita.

Andrea Gentili

Nessun commento