Al Teatro Eliseo sta andando in scena dal 13 febbraio e vi resterà fino al 1 marzo successivo, un lavoro dalle intense caratteristiche pseudo autobiografiche che riguardano, sia pure in forma latente, la drammatica vita dell’autore, Jean-Luc Lagarce vissuto, omosessuale e malato di AIDS, fino all’età di 38 anni.
Una vita, la sua, che ha descritto in questa drammatica commedia dal linguaggio apparentemente astruso, ma concretamente satura di concetti complessi al punto che appare a volte difficile individuare la chiave di lettura di un lavoro, che quasi è una apologia del silenzio anche se emerge concreto il desiderio di comunicare al mondo la propria infelicità.
Caratteristica saliente del dramma che Francesco Frangipane dirige in forma sapiente e che riesce ad esprimere delicatamente in forma di monologhi da parte dei cinque personaggi in scena, è la riflessione che il protagonista (Louis, un eccellente Alessandro Tedeschi) esprime nel desiderio di trovare il modo di comunicare ai suoi parenti, la prossima sua morte ( e che non riesce a trovare ); ma gli altri personaggi, la madre (Anna Bonaiuto), la sorella, il fratello e la cognata fanno altrettanto nella presunta consapevolezza che non saprebbero come comportarsi di fronte al non realizzato desiderio di Louis di informarli del dramma imminente che chiuderà a breve la sua vita.
Tutto si svolge in un arco temporale praticamente e volutamente indeterminato, un tempo che può essere identificato in un giorno o forse in un anno, o in un attimo ma tale che Louis lo intenda, come quel momento in cui i suoi parenti vorrebbero colloquiare con lui, da morto come se fosse vivo e che lo induce a concretamente pensare che il male dal quale è afflitto lo induce a respingere il bene: “ …non amo nessuno… “, afferma per tentare di far capire ai parenti che l’unico modo per donargli affetto è quello di lasciarlo in pace.
Figura a parte, quasi a latere del personaggio principale, è la madre (una splendida Anna Bonaiuto) che, forse non concependo il dramma del figlio vicino a morire, non riesce altro che ad esporgli l’assillante paragone tra lui ed il fratello Antoine, che, diversamente da lui, non ha abbandonato né madre né la casa natale.
Non commenta, però, l’omosessualità di Louis: forse perché riflette su se stessa e, nel suo intimo, si ritiene responsabile dell’errore del quale rimprovera suo figlio reo di non aver adempiuto al ruolo che la vita gli aveva assegnato: quello di essere il mancato punto di riferimento della famiglia.
Elemento contrastante con l’atteggiamento della madre è rappresentato dai comportamenti della sorella Suzanne e del fratello Antoine che, pur evidenziando un amore fraterno del tutto naturale non nasconde la sua paura di restare contagiato dal male del quale è affetto Louis.
Insomma, un dramma intriso di “amore” mai sinceramente evidenziato dai personaggi in scena, una lotta continua tra compattezza familiare ed egoismo che si concretizza nella formale esposizione di una vicinanza che vorrebbe essere consolatoria, ma per che il protagonista, essere umano vicino a morire, non è altro che un abbraccio soffocante.
Andrea Gentili