Il 15 giugno riaprono i teatri!!!!!!! Sembrerebbe una notizia clamorosa, ma invece, c’è veramente poco da gioire. Sicuramente lo spettacolo dal vivo è uno dei settori maggiormente colpiti dalla crisi Covid-19: lo è per definizione, lo è ontologicamente, altrimenti non si chiamerebbe teatro, ma sarebbe altro.
Il teatro, infatti, nasce proprio dalla vicinanza del pubblico; presuppone una osmosi continua di emozioni che dal palcoscenico passano alla platea, accarezzano il pubblico e ritornano indietro, fino a sfiorare gli attori, a infondere loro ulteriore forza espressiva.
L’attore è per sua natura “istrionico” (nell’accezione più benevola del termine): il pubblico lo esalta, l’applauso gli dà la carica; e quando il pubblico reagisce poco, l’attore entra in crisi. Specialmente nel comico, se non parte la risata là dove normalmente avviene, gli attori diventano sgomenti, pensano di aver sbagliato qualcosa e subito, dietro le quinte si guardano, si interrogano. E quando alla fine esplode l’applauso convinto, liberatorio, ecco il sospiro di sollievo. Questo per spiegare con un esempio concreto come il teatro viva di pubblico e con il pubblico.
Purtroppo, in questi giorni ne stiamo sentendo di tutti i colori: distanziamento sociale (e va bene), attori con la maschera (ed è una bestialità: se togli la mimica facciale ad un artista, lo hai “eliminato” dalla scena). Anche il teatro in streaming viene mal digerito dagli addetti, in quanto vero e proprio “nonsense”.
Purtroppo, la politica è totalmente assente; a parte qualche incauta battuta di Conte che voleva di sicuro essere affettuosa ma che molti hanno letto come una diminutio.
Purtroppo, la cultura in senso lato non dà ricchezza (carmina non dant panem, lo dicevano già i latini). Il dramma è che quanti dovrebbero occuparsi di come far ripartire il paese non sanno nulla di cultura e di arte: anzi, regna spesso l’arroganza, il menefreghismo, l’autoreferenzialità. Per non parlare delle famose commissioni di esperti, dove non c’è nessuno, dico nessuno, che abbia una pur vaga idea di come funzioni il teatro.
La gente non immagina neppure lontanamente quanto lavoro, quanta fatica, ma anche quanto entusiasmo ci stanno alla base di una commedia, un musical, un melodramma, un balletto etc. etc. Spesso la stessa gente pensa che tutti noi teatranti (mi esprimo nella duplice veste di giornalista e di “teatrante”) siamo pieni di sovvenzioni e viviamo da nababbi grazie ai contributi statali, regionali, comunali: tutto falso!
In effetti non siamo affatto mossi dall’ingordigia del guadagno (salvo rare eccezioni, che purtroppo esistono e non faccio nomi!), bensì, come la Tosca di Puccini, potremo dire un giorno: “vissi d’arte, vissi d’amore”!!!!! A tutti i livelli, infatti, alla base del teatro c’è amore, attrazione, fascinazione: l’attore (ma anche l’autore, il regista, il coreografo etc.) svolge la sua attività perchè la ama, perchè è disposto a sacrificarsi. Pensate a una prova generale andata male, in cui il regista si incazza e dice “rifacciamo tutto da capo” (e come spesso avviene, le prove non sono pagate!).
Gli attori sono i primi a dire di si: rifacciamo tutto lo spettacolo, anche due volte, se serve, si lavora fino alle 3 di notte; perchè vogliono sentirsi sicuri, vogliono fare bella figura: amano la perfezione di tutto ciò che è stato faticosamente costruito.
Pensate solo a immaginare un qualsiasi dirigente di un qualunque ufficio, che il venerdi alle 14 dice: “non tornano i conti, oppure i tabulati sono sbagliati, o mancano ancora il 30% delle pratiche che devono partire lunedi mattina. Bisogna finire!” Proteste, rivoluzioni, sindacati, comitati, commissioni interne… Ecco, quest’esempio, fa capire in modo evidente la differenza tra fare l’attore (ma l’esempio vale per tutte le categorie di artisti) e l’impiegato al ministero, al comune, in banca etc. etc.
La realtà teatrale è oggi molto complessa e variegata, dai cosiddetti teatri-off (quelli da 100 posti) alle platee famose e celebrate. Il teatro, però, costituisce una filiera unica, dal basso verso l’alto! L’unica vera differenza che in questa precisa fase storica possiamo fare è una distinzione essenziale e determinante: quella fra teatri privati e teatri pubblici (laddove per “pubblici” si intendono tutti gli “stabili”, quelli istituzionali etc. che sono sovvenzionati dallo Stato ed enti pubblici vari).
E’ fin troppo facile intuire come gli spazi “sovvenzionati” possano anche andare in scena con il 30% del pubblico, come stabilito dalle regole dettate in tempi di Corona virus. Tanto le spese sono coperte! Il problema nasce fondamentalmente per gli spazi privati, grandi e piccoli.
Purtroppo, non si ha l’idea di quanto pagano di affitto i grandi teatri. Spesso si tratta di cifre esorbitanti, versate ai proprietari (privati cittadini benestanti o società di capitale); i quali si sono ben guardati dal dire “amici, visto che c’è questa situazione, vi facciamo uno sconto…. del 50% (butto una cifra a caso). E lo Stato si è ben guardato dall’intervenire con norme di legge (non solo per i teatri, ovviamente), idonee a dimezzare i canoni di locazione. Lo Stato ha semplicemente detto: vi concedo un credito di imposta pari al 60% del canone. Tradotto vuol dire che l’impresa deve riuscire a guadagnare, pagando regolarmente l’affitto; e poi, se risulterà un imponibile abbastanza capiente, potrà detrarre il famoso 60%.
Voi immaginate i teatri che nel 2020 (anno fiscale) hanno lavorato solo gennaio e febbraio: riaprono il 15 giugno, a stagione conclusa, quindi, in pratica, fino a metà settembre restano chiusi… e alla ripresa non sappiamo ancora che cosa ci aspetta. E se si riparte con la limitazione del 30% dei posti occupabili, la vedo dura… Ma intanto hanno versato soldoni di affitto! E se non hai imponibile, ti giochi pure la detrazione d’imposta! Certamente, sarebbe da irresponsabili pretendere di aprire normalmente teatri e teatrini, esponendo spettatori ed artisti ad enormi pericoli.
Ma a questo punto lo Stato deve decidersi: o aiuta tutti, in egual misura, oppure il settore privato tenderà a sparire.
Non a caso, è appena stata costituita l’ATIP, l’Associazione Teatri Italiani Privati, che vede come nucleo fondatore i 14 maggiori teatri privati d’Italia: sicuramente aderiranno molti, molti altri spazi culturali.
Bene: come evidenziato dal comunicato stampa che pubblichiamo integralmente, i 14 teatri, da soli, in una stagione sviluppano 2.500 giornate di spettacolo dal vivo, per un totale di 2 milioni di biglietti staccati e con un volume d’affari di circa 50 milioni di euro. Sono cifre di tutto rispetto.
Giustamente, oltre a una serie di misure logiche e giustificate, l’ATIP si chiede di inserire qualche addetto ai lavori nelle commissioni che “decidono”, spesso senza conoscere le problematiche. O quanto meno di essere ascoltata!
Io, avrei una mia idea personale che mi frulla in mente da tanto tempo: la maggior azienda culturale italiana si chiama RAI e trae tutti i benefici derivanti dal suo ruolo e dalla sua posizione (non ultimo il tanto deprecato canone!). Mi rendo conto che ci si va a scontrare con la gestione e l’invadenza della politica, fatta di costumi e malcostumi, e via discorrendo.
Al netto di tutto ciò, io penso che se la RAI volesse in prospettiva aiutare il teatro, potrebbe fare una cosa molto semplice: seguire le stagioni dei teatri più importanti o più validi, grandi e piccoli, riprendere gli spettacoli migliori, e poi mandarli in onda una volta concluse definitivamente le repliche. Cosa che è già stata fatta molti anni fa, limitatamente a pochissimi e superselezionati spettacoli. Tra l’altro, così facendo permetterebbe anche al pensionato di Pinerolo o alla casalinga di Canicattì di vedere uno spettacolo di livello, che quasi certamente non riuscirebbe a vedere dal vivo per vari motivi, sia economici che logistici.
Il tutto, con un costo che sarebbe relativamente basso per la RAI e che si rivelerebbe linfa vitale per il teatro. Ricordando che, tra l’altro, gli attori delle fiction (quelli bravi!), dal teatro provengono e lì si formano e maturano!!!
E ricordiamoci pure che negli anni migliori della prima TV le sinergie con il teatro erano tantissime: mi limito a citare il celebre Musichiere di Mario Riva, che era targato “Garinei & Giovannini”.
Certamente il teatro supererà anche questa crisi e ripartirà, magari lasciando sul campo “morti e feriti”, ma se si riuscisse a limitare i danni non sarebbe male, no?
VIVA IL TEATRO!
Salvatore Scirè commediografo e giornalista