“La memoria del lago” (Sonzogno) è il quinto romanzo della fortunata serialità delle miss Marple del Giambellino di Rosa Teruzzi, redattrice della trasmissione televisiva “Quarto Grado”. L’autrice ha la passione per la scrittura e per indagini e senza trascurare i libri, i fiori e la sua città, concentra questo bouquet di hobbies del cuore nei suoi gialli. Visum ha intervistato l’autrice del romanzo.
“Cristina, io sono sempre d’accordo con te, ma sono una scrittrice istintiva: non bado tanto ai generi, scrivo storie. Tutti i miei romanzi hanno a che fare con i segreti personali e di famiglia che spesso nascondono un delitto. Non è tanto il gioco della caccia ai colpevoli ad affascinarmi, quanto piuttosto – dice la Teruzzi – lo scavo delle ragioni psicologiche che li spingono ad agire. E se il sentimento dominante nel noir è la malinconia e l’amarezza per le ingiustizie del mondo, bene, questa è una delle tinte dei miei libri”.
“Molti miei lettori, a partire dalla mia editor, me l’hanno detto. Io non so se sia così. Non considero i miei romanzi come storie a se stanti (la quarta, la quinta, la sesta avventura delle Miss Marple del Giambellino….), ma come capitoli di una stessa storia, che è la vita delle mie protagoniste. Libera, Iole e Vittoria (ma anche Irene e Cagnaccio) più che personaggi sono persone, per me. Con il passare degli anni, si evolvono e cambiano”.
“Ho sempre desiderato scrivere un romanzo ambientato in quegli anni così turbolenti e avventurosi, dopo averne sentito molto parlare dai fratelli di mia nonna paterna e da Purissima Colomba detta Colombina, la madre di mia mamma. Prima di scrivere ‘La memoria del lago’, mi sono documentata leggendo libri di storia locale, non per raccontare gli avvenimenti, ma per restituire l’atmosfera. E’ stato un viaggio affascinante che spero di ripetere con qualche altro libro, non necessariamente giallo”.
“Molti pensano che le mie siano storie al femminile, perché le protagoniste sono tre donne di una stessa famiglia e ognuna di loro non ha una situazione sentimentale risolta, almeno in questo momento. In realtà il mondo di Libera, Iole e Vittoria è ricco di uomini: gli uomini che loro amano o desirano. Gli uomini che commettono reati o li subiscono. Gli uomini-complici come Cagnaccio, indispensabile alleato nelle loro inchieste. E su tutti c’è l’ombra dell’uomo per eccellenza, il più rimpianto al casello, Spartaco, il nonno che ha cresciuto Libera e l’ha aiutata a diventare la donna che è: gentile e rispettosa, forse un po’ indecisa come molte di noi, ma comunque forte, sotto la sua apparenza di fragilità”.
“Idra è l’unico personaggio vero dei miei romanzi. E’ il buffo esemplare di cane meticcio che ha vissuto a lungo con la mia famiglia, indivisibile da mio padre, incline al ringhio e poco socievole, un’anima ferita come tutte le inquiline del casello. Ma che l’amore guarisca le cicatrici è una legge universale, per gli uomini e per gli animali. E quindi sì, credo che Idra si conquisterà il suo spazio a casa di Libera e nei romanzi, pur conservando la modalità scontrosa che la contraddistingue”.
I libri li citi, ma li utilizzi come braccio destro investigativo. Sono loro i veri detective delle tue storie?
“I libri sono i compagni di Libera e anche i suoi complici. Quando è triste o preoccupata, è tra le pagine dei romanzi che cerca sollievo, ma spesso sono proprio quelle pagine a indicarle una possibile soluzione. Che i libri contengano tutte le risposte, è un suo pensiero da sempre”.
“L’estate del 2014 è stata la più piovosa di sempre, nel Nord Italia. A Colico, dove stavo scrivendo “La sposa scomparsa”, il primo romanzo della serie delle fioraie, abbiamo avuto un mese ininterrotto di simil-monsone e non abbiamo mai smesso la trapunta. Quando ripenso a quell’estate, mi immagino una scena di Blade Ranner e la famosa frase: ‘Come lacrime nella pioggia’, un’atmosfera perfetta per un noir”.
“Molti, a partire da mio marito, pensano che Irene Milani detta la Smilza assomigli a me da ragazza. In realtà, con lei, io ho in comune solo la magnifica esperienza di cronista di nera in un piccolo giornale. Nella redazione de ‘La Notte’, il quotidiano del pomeriggio milanese a cui è ispirata ‘La Città’ dei miei romanzi, noi lavoravamo così, come fanno la Smilza e Cagnaccio: andando per strada, intervistando i testimoni, usando poco il telefono e consumando molto la suola delle scarpe. Sono stati anni faticosissimi e formativi in cui ho incontrato figure losche, truffatori, assassini, ma anche personaggi magnifici, piccoli e grandi eroi del quotidiano. Tutto quello che oggi so delle indagini e del giornalismo l’ho imparato lì”.
“Per carattere sono una combattente, ma questi mesi mi hanno messo a dura prova. Soprattutto a marzo ed aprile, io e i miei colleghi che abbiamo lavorato “sul campo” abbiamo respirato dolore e paura e provato un grandissimo senso di solitudine. Sicuramente quest’esperienza influirà sulla mia scrittura perché io sono una donna diversa, ora: c’è una ferita che sanguina dentro di me, sono più facile all’empatia e alla commozione. Ma di sicuro, non scriverò una storia al tempo del Coronavirus, non in questo momento, almeno: non avrei il necessario distacco”.
Cristina Marra