La vita di una coppia di intellettuali, del più grande critico italiano del Novecento e della sua bella moglie ha attraversato le peggiori tragedie del secolo “eppure le loro finestre accese fino a tardi non si sono mai spente” e continuano a restare illuminate dal ricordo alimentato dal bellissimo romanzo di Anna Folli che ripercorre le vite di Giacomo Debenedetti e della moglie Renata Orengo, una coppia colta “difficile, unica, che per molti anni ha intrecciato la propria esistenza con quella degli artisti e dei letterati che hanno fatto la storia del secolo scorso”.
Edito da Neri Pozza il romanzo di Anna Folli, autrice di reportage culturali, di programmi radiofonici, direttrice del festival di letteratura e musica “Le corde dell’anima”, segue “MoranteMoravia. Storia di un amore” del 2018 e indaga la coppia Debenedetti-Orengo partendo dal loro primo incontro al teatro Regio di Torino e ripercorrendo le tappe della loro vita insieme con sopralluoghi nelle case dalle cui finestra esce ancora tanta luce. Visum ha incontrato la scrittrice.
Anna, La casa dalle finestre accese è citata in Giacomino, una casa piena di luce culturale con due esistenza illuminate dall’amore, ma anche offuscate da ombre e tragedie del Novecento?
“Ho scelto questa frase, tratta dal libro di Antonio Debenedetti sui suoi genitori, perché mi sembrava il titolo più giusto per raccontare un clima e un mondo: quello in cui hanno vissuto Giacomo e Renata. Anche nei momenti più drammatici del fascismo e della guerra, casa Debenedetti non ha mai smesso di essere un faro nel buio, un luogo di cultura e di civiltà per gli artisti, gli scrittori, i poeti e gli intellettuali che la frequentavano”.
Cosa accomuna la coppia dei Moravia a quella dei Debenedetti?
“Erano due coppie molto diverse per carattere, formazione ed esperienze esistenziali. Quello che li accomunava era l’amore per la letteratura e la cultura. Morante e Moravia hanno vissuto per la scrittura che è sempre stato il centro della loro vita. Giacomo è stato il più grande critico letterario del Novecento e anche per Renata la letteratura è stata una risorsa nei tanti periodi difficili. In una lettera all’amico Guglielmo Alberti, scritta da Cortona dove si era rifugiata con Giacomo e i bambini, Renata racconta che nei momenti più duri le bastava leggere una pagina di Proust per ricordare la bellezza della vita”.
Lei scrive “la vita della famiglia Debenedetti è un pezzo di cultura italiana” e la racconta sin dall’infanzia di Giacomo e Renata. Quanto tutte le case le hanno parlato di loro?
“Credo che le case in cui abbiamo abitato parlino molto di noi e del nostro mondo e questo è certamente avvenuto per i Debenedetti. Il primo appartamento di Giacomo e Renata, affacciato sul Lungo Po a Torino, rifletteva soprattutto i gusti di Giacomo che aveva voluto un appartamento moderno, che seguiva i dettami del nuovo stile razionalista, con mobili in vetro e acciaio. La prima casa a Roma, invece, era stata scelta da Renata – commenta – che aveva deciso di abitare nel quartiere residenziale dell’Aventino, elegante e silenzioso”.
“Il loro appartamento era vasto e pieno di luce – continua l’autrice – circondato dal verde, ed era diviso da una porta: da una parte la vita di famiglia, dall’altra Giacomo che era immerso nel lavoro fino a tarda sera. L’ultima casa dei Debenedetti, più di ogni altra, rifletteva i loro gusti e le loro aspirazioni. In pieno centro, a due passi da Piazza Navona, in cima a un antico palazzo, era arrampicata sui tetti e dalle ampie vetrate si poteva ammirare tutta la Roma antica. In quella casa Giacomo e Renata ricevevano i loro amici e hanno trascorso gli ultimi anni della loro vita”.
Nel libro riporta anche grandi storie di amicizia, di un gruppo di “romantici assetati di assoluto”. Chi sono stati gli amici e le amiche più stretti di Giacomo e Renata e quanto l’amicizia ha scandito momenti difficili?
“Il gruppo di ‘romantici assetati di assoluto’ erano gli amici di Giacomo quando era molto giovane, negli anni dell’Università. Già a vent’anni era circondato da persone alle quali sarebbe rimasto legato tutta la vita. Tra loro c’erano intellettuali e artisti che sarebbero diventati protagonisti della cultura novecentesca: penso a Mario Soldati, Natalino Sapegno, Sergio Solmi, Giulio Carlo Argan, Guglielmo Alberti La Marmora, Felice Casorati e soprattutto Piero Gobetti. Di Piero e Giacomo si diceva che fossero le menti più brillanti di tutta Torino. Dopo l’arrivo a Roma, invece, Giacomo e Renata frequentavano Elsa Morante e Alberto Moravia, Alberto Savinio, Bobi Bazlen, Emilio Cecchi con la moglie, la pittrice Leonetta Pieraccini e Pier Paolo Pasolini, Maria Bellonci, Giuseppe Ungaretti, Giorgio Caproni, Alba de Céspedes, Carlo Emilio Gadda, Palazzeschi, Massimo Bontempelli e Paola Masino. Ma per Giacomo il più grande amico, quasi un padre, che gli è stato vicino sia a Torino, sia a Roma, è sempre stato Umberto Saba”.
Dal primo incontro al Regio con la musica di Wagner al mondo quotidiano popolato di scrittori e artisti. Giacomo è stato per Renata il grande amore ma anche l’artefice della sua formazione culturale?
“Quando Giacomo e Renata si incontrano al Teatro Regio, lei era poco più di una bambina e certamente la frequentazione di Giacomo è stata fondamentale. Renata intuisce la superiorità intellettuale di Giacomo- sottolinea la scrittrice – così diverso dai suoi coetanei, e lo mette al centro del suo mondo dove rimarrà per tutto il resto della sua vita. Ma certamente la madre di Renata, Valentina Orengo de Tallevitch, che apparteneva a una famiglia aristocratica russa, aveva già fatto nascere in lei l’amore per la musica e per i libri. Valentina, che sapeva parlare perfettamente il francese, il russo, l’inglese e il tedesco, aveva una vera passione per Tolstoj, Puskin e Dostoevskij, e possedeva una cultura molto più vasta e profonda delle signore della sua classe sociale”.
Quanto la lettura di Proust “capire un poeta è sentirlo fraterno alla nostra sorte”, è stata determinante per la formazione di critico letterario di Giacomo?
“E’ stata fondamentale. Giacomo legge Proust a ventitré anni e non solo con i suoi scritti lo fa scoprire al mondo intellettuale italiano, dove era ancora quasi uno sconosciuto, ma da allora scrive su di lui per tutta la sua vita. Non c’è nessun critico italiano che abbia saputo entrare così profondamente nel mondo di Proust. Tra loro esisteva una vera affinità: condividevano sensazioni, pensieri, sentimenti ed emozioni, tanto che per un certo periodo Giacomo era arrivato a firmarsi ‘Swann’ il protagonista della Recherche”.
Cosa cambiò nella loro vita il 1938 con le leggi razziali e quanto Giacomo è legato alla sua religione?
“Il 1938 è l’anno della promulgazione delle leggi razziali e segna la vita dei Debenedetti, dividendola in un prima e in un dopo. Da quel momento, fino alla fine della guerra, Giacomo non può firmare articoli, libri, sceneggiature, traduzioni. In pratica non può più mantenere la sua famiglia, anche se, aiutato da alcuni amici fidati, in parte riuscirà ancora a lavorare, ma a rischio della vita. Questa discriminazione, di cui risente profondamente, scatenerà in lui sensi di colpa e frustrazioni di cui non si libererà mai completamente”.
Alle donne è affidato lo scettro di regine dei salotti romani. Che rapporti avevano i Debenedetti con i salotti culturali? Avevano modi diversi di essere mondani?
“Dopo la fine della guerra nascono molti salotti letterari: i più celebri erano quelli di Alba de Céspedes, che aveva un’impronta molto internazionale, e di Maria Bellonci. Dagli ‘amici della domenica’ che si riunivano in casa Bellonci nasce quello che è ancora oggi il più celebre premio letterario italiano: lo Strega”.
In cosa e quanto la loro storia è ancora attuale?
“Io credo che mai come in questo momento, in cui purtroppo la cultura viene considerata un bene non fondamentale, la lezione di Giacomo e Renata Debenedetti ci possa insegnare molto. Per loro, che pure sono passati attraverso le peggiori tragedie del Novecento, l’arte e la cultura sono sempre state al centro della loro esistenza come un bene da difendere ad ogni costo. Giacomo e Renata, come scrivo nel mio libro, avevano bisogno dell’arte e della bellezza come dell’aria che respiravano. Della loro generazione di scrittori, poeti, artisti e intellettuali investiti da una vocazione che coincideva con la loro stessa esistenza, si sta perdendo persino il ricordo. Per questo, credo sia valsa la pena di raccontare la loro storia”.
Cristina Marra