Giornalista e redattore della rubrica di cultura ebraica di Rai 2 Sorgente di vita, Marco Di Porto col suo secondo romanzo “Una voce sottile”, edito da Giuntina, racconta una storia di ricordi e dolori che comincia sull’isola di Rodi negli anni Trenta e si conclude a Roma nella metà degli anni Cinquanta. E’ la storia di un uomo, sognatore e lettore di libri e di Mandrake, innamorato della vita e della sua Rosa, dedito alla famiglia, agli amici e profondamente legato alla sua isola, che si scontra, combatte e sopravvive alle leggi razziali e alla deportazione, si chiama Solly, e nella realtà era il nonno dell’autore.
Marco, il tuo è un romanzo sulla memoria, sui ricordi di una figura familiare e su un’intera comunità, ma anche sulla presenza di Dio?
“Direi di sì. Ho tentato di ricostruire un mondo spazzato via dalla seconda guerra mondiale e dalla Shoah, quello di una comunità ebraica sefardita antichissima, che viveva felicemente a Rodi, la bellissima isola dell’Egeo. Ma è anche un romanzo che nasce da una domanda di fondo: come coniugare la fede in Dio con l’esistenza della sofferenza e delle tragedie umane, di cui Auschwitz è senz’altro l’apice nella Storia? E’ un tema ben riassunto nella citazione di Primo Levi che ho posto in epigrafe, e accompagna il lettore in tutto il romanzo. A partire dal titolo, tratto da una citazione biblica, metafora della difficoltà di percepire la presenza di Dio nella nostra vita”.
“Sul tavolo ho avuto per tre anni una notevole pila di libri storici e di memorialistica. E’ stata una ricerca non facile, perché il Dodecaneso italiano è un pezzo di storia patria un po’ poco frequentato dalla storiografia, e ancor meno lo è la storia di quella comunità. Non tutti sanno che Rodi, da inizio ‘900, è stata un Possedimento italiano: una vera e propria appendice dell’Italia, poi pienamente ‘fascistizzata’, come il resto d’Italia, quando Mussolini prese il potere. E agli ebrei locali, toccò la stessa sorte degli ebrei italiani: le leggi del ’38, poi l’occupazione nazista e le deportazioni”. “Ho studiato a lungo e poi ho mixato il tutto con le tracce della mia storia di famiglia, inventandola: perché quelle persone sono state inghiottite dalla Shoah, e, tranne mio nonno Solly, di loro è rimasta testimonianza solo nei documenti che ho scovato in diversi archivi. Una materia per me incandescente, che ho dovuto maneggiare con cura”.
“Rodi è un’isola splendida. Ho cercato di rendere la bellezza della sua natura fertile, del suo mare cristallino, della città vecchia, anche perché era un elemento narrativo che contrastava in modo potente con la tragedia incombente. Lo splendore dell’isola, più che simbolo di una rinascita, è un elemento di grande suggestione e di forte contrasto visivo con le brutture della guerra, con i panzer tedeschi che la occupano”.
“Cutrera è un ragazzo nato e cresciuto nel fascismo. La dittatura ha permeato ogni aspetto della sua vita e della sua educazione, e quindi, quando inizia la campagna denigratoria contro gli ebrei, che avrebbe portato poi all’ignominia delle leggi del ’38, lui aderisce pienamente, acriticamente, e, per carattere, anche in modo fervente. E’ un figlio del suo tempo. Nel corso della storia scoprirà, suo malgrado, la vera sostanza della dittatura”.
“Era un mondo meraviglioso, e non sono io a dirlo, ma un testimone molto noto e amato, Sami Modiano, che ha vissuto la stessa tragica esperienza di mio nonno Solly. Quell’antica comunità ebraica è appunto stata spazzata via dalla storia. Oggi è stata restaurata un’antica Sinagoga, il ‘Cal Chalom’, l’unica rimasta in piedi delle cinque che c’erano prima della guerra. C’è un piccolo nucleo di persone che la tengono attiva, e d’estate arrivano tanti turisti, che le donano nuova vita. Ma le strade della ‘juderia’, il quartiere ebraico, sebbene siano le stesse di ottant’anni fa, sono oggi completamente svuotate della presenza di quella comunità sefardita che le aveva abitate per secoli”.
“Anche nei miei precedenti lavori, c’è spesso la presenza di personaggi femminili forti. Nella mia famiglia ho avuto figure di donne forti, che mi hanno probabilmente ispirato. Trovo una grande facilità nel raccontare il femminile”.
“Mi sembra ci sia un bel fermento intorno a questo testo. Ho avuto il piacere di presentarlo al festival ‘Insieme’, a Roma, con Lia Levi, una scrittrice che su queste tematiche ha scritto romanzi splendidi, e con Patrizio Nissirio, un amico giornalista e scrittore che è anche un grande esperto di Egeo, al quale ha dedicato un romanzo bello e potente. Un ottimo inizio, mi pare. Poi ogni libro fa la sua strada, vedremo quale sarà quella di ‘Una voce sottile’”.
Cristina Marra