La normativa anticovid ha chiuso il sipario sul Teatro Argentina di Roma, come per tutti i teatri nazionali, nell’attesa che la curva dei contagi dia risultati più incoraggianti e che si possa così tornare a vivere lo spettacolo dal vivo con la rilassatezza (e sicurezza) che merita. Prima che il precetto legislativo attivasse i suoi effetti, siamo riusciti comunque a vedere lo spettacolo in cartellone Uomo senza Meta di Arne Lygre.
L’autore norvegese, poco rappresentato in Italia, analizza nei suoi testi il potere distorcente e addomesticante del capitalismo, forza devastante che si abbatte prima sui rapporti sociali, per intaccare ed erodere anche gli equilibri familiari. La regia di questo testo, curata da Giacomo Bisordi, artista con predilezione per la drammaturgia contemporanea, rappresenta e restituisce personaggi smarriti e vuoti, animati, meglio dire agitati, dal potere carismatico di Pietro, imprenditore arrivista e spregiudicato.
E’ la forza propulsiva del suo ego ad azionare la macchina scenica e comportamentale delle figure che lo accompagnano, addomesticate al suo volere, incapaci di vita autonoma e di luce propria. Pietro (Francesco Colella) muove le fila della trama e intorno a lui ruotano i restanti figuri, tutti senza nome. La brama di Pietro si concentra sulla ideazione e costruzione di una città, una nuova frontiera, sui fiordi, quello che la scrittura lascia intuire essere un eco-mostro. Incastrato a forza in una terra vergine e pura.
Per raggiungere la sua mèta è disposto a marciare su tutto e tutti, soprattutto sul proprietario di quella terra (Giuseppe Sartori) che paga a prezzo di percosse e violenza l’iniziale resistenza.
Pietro il SuperUomo piega fratelli, moglie e figlia (Aldo Ottobrino, Monica Piseddu, Anna chiara Colombo e Silvia D’Amico), irreggimenta e dispone, fa e disfa. Ma il suo potere carismatico penetra nei personaggi e li anima. Paradossalmente è lui il loro motore. Lui li crea, lui li distrugge. Loro delegano la propria identità all’imprenditore spregiudicato, al Burattinaio. Consapevoli o no, non mostrano segni di ostacolo.
Dopo la sua morte, che imprime un ritmo più lento alla scena, resteranno smarriti, scollati. In una parola, alienati. Hanno perso il loro faro. Dietro di loro resta solo un palco vuoto, fatto di cemento, ferro, tubi, scale, metallo e legno a rappresentare, chissà, le spoglie di quella stessa città che Pietro aveva così fortemente voluto e che, anche lei come i comprimari, ora senza lui risulta vuota. Inutile come ogni sogno scellerato.
Francesca Pistoia