Visum ha incontrato Sonia Cucculelli illustratrice de “Il grande Gatsby” edito da Neri Pozza Spleen recentemente pubblicato, la traduzione di Alessandro Fabrizi, la postfazione di Tony Tanner e le sue illustrazioni.
“Affascinante e difficile allo stesso tempo. Il Grande Gatsby porta con se un immaginario, quello dei ruggenti anni ’20, ben radicato in ognuno di noi. Quello che ho cercato di fare è di rispettare questa iconografia, cercando però di non cadere nel cliché e di colorarla con una interpretazione più personale. Probabilmente in alcune tavole emerge maggiormente il primo aspetto, mentre in altre mi sono presa qualche libertà in più”.
“I personaggi delle mie illustrazioni hanno spesso uno sguardo assorto. Non so bene perché, ma mi accorgo che, tranne alcune eccezioni, quando posso evito di svelare tutta l’emozione del momento, preferisco suggerire un’atmosfera e fermarmi un attimo prima che l’emozione si palesi del tutto. E il testo di Fitzgerald mi ha permesso di assecondare questo approccio. Per me il Grande Gatsby è un libro ambiguo. L’atmosfera è rarefatta, ma pesante. Come se ci fosse un muro di superficialità e disagio”.
Forse il personaggio a cui ho dato uno sguardo più deciso è Jordan Baker, che ho percepito essere quella più assertiva e radicata a terra”.
“Lavorandoci mi sono affezionata molto a questa palette, anche se non è stato immediato arrivarci. Solitamente lavoro in bianco e nero o con una palette più realistica anche se desaturata. Devo ringraziare Neri Pozza che, sebbene mi abbia lasciato libertà su tutto, mi ha spinta a sperimentare e tentare altre strade. Abbiamo lavorato insieme e questo è il risultato. Penso che le due dominanti mi abbiano aiutata a descrivere quella doppiezza di cui parlavo prima, che si traduce anche nell’alternarsi di scene notturne e diurne, con da una parte feste e divertimento e dall’altra apatia e afa, sfarzo e ricchezza contro la desolazione della valle delle ceneri”.
“La prima parte del lavoro è stata di studio, sia del testo che dell’iconografia collegata agli anni ’20.
Ho cercato di scrollarmi di dosso alcuni errori che erano ben radicati nel mio immaginario (penso per esempio a Daisy che le trasposizioni ci hanno sempre raccontato come la ragazza bionda e svampita).
Ho cercato anche di non indugiare eccessivamente su alcuni riferimenti per non rischiare di farmi influenzare troppo, per esempio ho deciso di non rivedere il film con Di Caprio, anche perché volevo dare un’interpretazione più morbida, non cinematografica”.
“Con Alessandro Fabrizi abbiamo lavorato parallelamente, purtroppo. Ho avuto solamente dopo la possibilità di scoprire la sua traduzione che ho trovato veramente molto elegante e quasi poetica. Mi è dispiaciuto un po’, ma non si poteva fare altrimenti”.
“Forse la storia tra Nick e Jordan. Mi è restata la voglia di saperne di più ed il rammarico di un amore in potenza che non è riuscito a decollare. Forse sono i personaggi che preferisco, quelli che alla fine, in un modo o in un altro, riescono a salvarsi. In questo senso una delle illustrazioni a cui sono più affezionata è proprio il ritratto di Miss Baker nel momento dell’addio a Nick”.
Cristina Marra