La scrittrice Simona Lo Iacono ha recentemente pubblicato il romanzo intitolato di “La tigre di Noto “per la casa editrice Neri Pozza. Visum l’ha intervistata.
“Non è un caso isolato, la storia di tante donne è stata dimenticata dalla storia, sebbene abbiano fatto conquiste importanti e abbiano donato molto all’umanità. Nel suo caso – spiega a Visum la scrittrice – è stata la sua stessa natura a nasconderla. Anna Maria non amava mettersi in mostra, non faceva sfoggio di erudizione, non ambiva a riconoscimenti. La sua vera vocazione era lo studio, e perseguiva le strade della ricerca con umiltà e dedizione”.
“Sì, mi sono messa sulle tracce di Anna Maria Ciccone e quindi l’ho un po’ inseguita nelle pieghe della sua biografia. Ma le scoperte più belle sono state quelle interiori, capire quali fossero le sue inclinazioni, le sue fragilità, i suoi dolori”.
“E’ sia un espediente narrativo che un modo per celebrare lo sguardo, e niente come la foto restituisce sia il ricordo che la prospettiva”.
“E’ stata importante tanto quanto la formazione scientifica. Anna Maria comprende che la ricerca non è solo il frutto di formule matematiche, ma è anche l’approdo di una via di contemplazione, di amore per la bellezza dell’universo. E quindi non ha mai una visione solo tecnica delle leggi della fisica, ma poetica, estatica. Per questo motivo ama la letteratura, perché sono i libri a restituirle la dimensione dell’invisibile”.
I personaggi di Cate e Rosa sono realmente esistiti? Sono due figure che rendono Marianna la donna libera che è stata? Entrambe la spingono a credere nei libri?
Nel suo percorso per salvare i libri dalle razzie naziste, Marianna si trasforma anche in agente segreto? Ti piace pensarla anche così?
“Ma sì, in effetti ha dovuto vestire anche i panni della cospiratrice. Anche se in verità la sua vera cospirazione è contro ciò che inganna la vera natura dell’uomo, e in definitiva contro la negazione della vera libertà”.
“Quanto è attuale una donna come Marianna?
“E’ attualissima. Non solo per lo sforzo e il sacrificio che le costarono i suoi studi (elementi che la rendono molto vicina alla fatica della donna di oggi), ma anche per la sua capacità di penetrare le leggi della natura vivendole come atti di responsabilità. Una lezione che dovremmo fare nostra.
“Più che missione era vocazione, e quindi ricerca di felicità e di pienezza”.
Il romanzo tratta anche il rapporto madre figlia. Com’ è stato raccontare i bisogni affettivi di Marianna bambina e donna ?
“E’ stato come dare voce alla parte più vera di noi, quella innocente, spesso trafitta. Tutto parte sempre da lì”.
“Sì, le cose sono simboli, e possono dire molto sulla felicità e sul dolore dell’uomo. Le scarpe rappresentano il viaggio, ma anche la loro aderenza alla terra, alle radici, alla realtà. Il vestito è il sogno, l’unico sogno che Marianna si concede”.
“E’ stata una accoglienza calorosissima e per me molto commovente. I lettori stanno amando molto la mia piccola grande tigre, e le stanno restituendo molto affetto. Se Marianna fosse viva se ne stupirebbe e ne gioirebbe”.
Cristina Marra