Intervista a François Morlupi ha recentemente pubblicato il romanzo giallo intitolato “Come delfini tra pescecani” edito da Salani. Visum l’ha intervistato.
A Monteverde, il quartiere della capitale in cui la tranquillità sembra regnare sovrana, è arrivata una squadra di poliziotti variegata e variopinta, capeggiata dal commissario Biagio Maria Ansaldi, ipocondriaco e ansioso che ama leggere ed è in sovrappeso, e che riesce a dare il meglio di sé di fronte alla prima indagine seria e impegnativa sulla morte di un ottantenne dal passato torbido che apre nuovi scenari investigativi.
“Sicuramente la mia doppia nazionalità è stata una grande fortuna, in primis da lettore e poi da scrittore. Ho avuto la possibilità di leggere testi in lingua originale e ho potuto assaporare il noir francese che mi ha fortemente influenzato. Autori come Bussi, Thilliez, Chattam o Minier sono il mio pane quotidiano, così come i vari De Giovanni, Carlotto o Manzini, per citarne alcuni. Ho tentato, nel mio piccolo, di fondere le due culture. Uno dei protagonisti, per esempio, Eugénie Loy è una donna italofrancese con tutte le conseguenze del caso”.
“Tanta adrenalina. Sono felice e in trepidante attesa. Sono stato fortunato, sono approdato in una casa editrice eccezionale, sia professionalmente che umanamente. Non potevo chiedere di meglio. Spero di poterli ripagare con la stessa moneta”.
“Sì assolutamente. È sotto certi punti di vista un giallo classico, direi quasi tradizionalista. Poi però i vari personaggi che lo compongono riescono a dargli un tocco di noir con anche, mi auguro, un’introspezione approfondita dell’essere umano. L’indagine è anche una scusa per poter raccontare altro, come la città di Roma e la sua bellezza e purtroppo, le sue tante problematiche”.
“Tento di essere il più realista possibile. I miei protagonisti non sono né bianchi, né neri, ma grigi. Posseggono tante qualità ma altrettanti difetti. Non sono supereroi, al contrario. Affrontano la quotidianità con i loro mille problemi e tentano di tornare a casa, ogni sera, sani e salvi. Li definirei perfetti nella loro imperfezione. Ognuno di loro possiede una personalità, un carattere, passioni. Insieme formano un buon mosaico di colori”.
“Ansaldi nasce dal desiderio di dare voce a tante persone che conosco, che soffrono di ansia e che ogni giorno si svegliano con un pugno allo stomaco. Malgrado tutti e tutto, riescono a rimanere professionali e a compiere il loro lavoro e ad avere relazioni sociali. Tutti soffriamo d’ansia, chi più o meno, l’importante è riuscire a conviverci e a non affondare”.
“Chagall è fondamentale per il suo benessere fisico e mentale. Lo aiuta a non rintanarsi in casa, a uscire anche quando piove, ad avere una vita sociale con gli altri “canari”. Chagall il miglior antidoto alla depressione e questo Ansaldi lo sa bene. Per questo motivo, non potrebbe concepire una vita senza di lui”.
Che rapporto ha la tua squadra con la morte?
“Pessimo, i cinque di Monteverde odiano i casi di omicidi o di suicidi. Non vogliono assolutamente incontrare il Male nella sua forma peggiore anche perché vorrebbero evitare di fare riflessioni su quanto l’uomo possa trasformarsi in un essere terribile e spietato”.
“Nelle insicurezze, nell’essere due stelle totalmente perse in una galassia immensa. Insieme si fanno forza a vicenda, come se ognuno fosse per l’altro un’ancora di salvezza. È un rapporto quasi padre figlia, in un certo senso”.
L’indagine parte da un suicidio e poi si allarga a una serie di omicidi in un crescendo di pathos e azione?
“Sì la componente del giallo/noir vuole che comunque ci sia un crescendo e che il climax aumenti pagina dopo pagina fino alla deflagrazione finale”.
“Non ho la presunzione di pensare di raccontare la verità di una città così complessa e immensa come Roma. Descrivo però la città in cui vivo, che ogni giorno, mi fa passare dall’inferno al paradiso (o viceversa) in pochi secondi. Roma è una protagonista dei miei libri, assolutamente né vittima né testimone. Interagisce e interferisce a suo modo con l’inchiesta e gli altri personaggi”.
“Il passato è un’ombra che assale le vittime e un periodo importante per tutti i cinque di Monteverde. C’è chi, come Eugénie e Ansaldi lo vive pieno di rimorsi e rimpianti, mentre chi, magari come Leoncini lo vive assaporandone i ricordi positivi”.
Nel romanzo inserisci tantissimi omaggi a libri, scrittori, artisti, da Proust a Hopper a Hugo a Chamfort. Ti piace contaminare la scena narrativa con dediche e riferimenti?
“Sì assolutamente! Mi piace inserire, in maniera trasversale, le mie passioni. C’è del mio in ogni singolo personaggio. In Ansaldi nella passione per l’arte, in Leoncini per la storia, in Di Chiara per il cinema coreano e il calcio, in Eugénie per la lettura di autori francesi”.
La lettura ha un potere salvifico?
“Certo è una delle poche cose rimaste in cui siamo liberi, di poter scegliere il momento in cui leggere e soprattutto cosa leggere a seconda del nostro umore, del nostro tempo o di tante altre variabili”.
Il romanzo è anche di sentimenti espressi o taciuti. Quanto ti piace raccontare l’amore nei suoi aspetti e lati più nascosti?
“Mi piace e per alcuni personaggi risulta più facile. Penso a esempio a Di Chiara, Leoncini e Alerami che sotto questo punto di vista, sono molto trasparenti, quasi un libro aperto. È evidente che Ansaldi o Eugénie vivono molto sui silenzi(Eugénie), sulle espressioni facciali (Ansaldi) e non sulla parola. Non riescono a esternare i loro sentimenti oralmente e si ritrovano pertanto a esprimerli sotto altre forme. Sono forse i passaggi che amo di più; il non descrivere in maniera palese alcune scene. Penso che stia al lettore carpire alcune cose e determinate situazioni”.
Cristina Marra