E’ in scena sino al 30 luglio al teatro Argentina di Roma, il capolavoro di Alfred Jarry, ”Ubu Re”, firmato da Fabio Cherstich e Luigi Serafini.
Nella grande spiaggia allestita al posto della platea del teatro Argentina per il precedente spettacolo ”Sun & Sea” delle artiste Lituane Barzdziukaite, Grainyte e Lapelyte, premiato col Leone d’oro alla Biennale 2019, viene ora proposta una nuova produzione del Teatro di Roma (dove si replica sino al 30 luglio): ”Ubu Re” di Alfred Jarry firmato da Fabio Cherstich e Luigi Serafini.
Il lavoro è stato possibile solo costruendo un impianto teatrale a pianta centrale con gli spettatori nei palchi, dando alla sabbia, poco o alcun valore reale o metaforico, anche se poi sono stati scelti abiti tutti bianchi per i protagonisti, quasi a suggerire un incongrua recita estiva, tra i resti di un qualche cantiere con tubi che spuntano qua e là, e costruzioni di tubi Innocenti.
Padre Ubu, prototipo del tiranno vigliacco e feroce, avido e stupido, con al fianco Madre Ubu appena più concreta ma non meno divorata dall’ambizione, ha come lontano modello il Macbeth shakespeariano con l’assassinio come mezzo di conquista del potere, che però si reitera nella gestione del potere stesso con la persecuzione di nobili, magistrati e poi contadini da spremere con le tasse più folli, sino al finale autodistruttivo e la fuga per mare.
Il testo, scritto nel 1896, alla prima suscitò scontri tra i gli spettatori entusiasti e quelli violentemente contrari e scandalizzati dalla provocazione, davanti a un cartello alzato in sala con scritto ”L’uscita è da quella parte”. Il cartello, si vede apparire in scena anche oggi, sorretto dalla figura dell’autore stesso (il performer Julien Lambert), aggiunta a far da testimone, oltre che introdurre (come accadde alla prima parigina) e chiudere l’avventura di Ubu, con eloquenti esempi di Patafisica, la ”scienza delle soluzioni immaginarie” che deriva proprio da questo personaggio.
Un testo elementare e estremo assieme, geniale nella semplicità esemplare della sua provocazione che gioca sull’assurdo e il grottesco attraverso la ricerca dell’eccesso di cui Ubu è l’incarnazione.
Redazione