L’accoppiata Igort e Serio si rivela a dir poco vincente e il risultato è il graphic novel Gauloises edito da Oblomov, un noir dal taglio metafisico in cui la narrazione di Igort incontra le immagini di Andrea Serio. Visum li ha incontrati.
Il tema del doppio ricorre in tutto il libro, due città, due protagonisti, due solitudini, due malinconie, e su tutto si insinua il fumo delle sigarette, le Gauloises, che si fa anche nebbia che avvolge e nasconde luoghi e menti, anime e ricordi. L’incontro tra Igor e Serio si fonde in una storia di due uomini intrappolati dai loro labirinti interiori, entrambi dalla pistola facile, hanno conosciuto il male troppo presto, Ciro è un killer napoletano, Aldo è un ex pugile nato in Sardegna entrambi naturalizzati a Milano. Le loro esistenze si incontrano quando viene freddato un protetto della mala e se a eliminarlo è stato il killer delle Gauloises toccherà all’ex pugile vendicarlo. Visum ha intervistato Igor e Serio.
Siete entrambi disegnatori, com’è stato per Igort vedere come Andrea ha reso la sua storia e per Andrea entrare nella narrazione di Igort?
Igort “Una collaborazione ha senso, per me, per scoprire come un disegnatore interpreti diversamente da come farei io le scene che immagino man mano che scrivo la sceneggiatura. E, nel caso di Andrea Serio, conoscevo delle qualità un po’ speciali, quelle di artista ‘visionario’. Mi intrigava il forte potere di suggestione che riusciva a condensare nelle sue immagini, nelle sue sequenze. Dunque lo spirito per me era quello dell’esplorazione. Mi interessava cioè che Andrea facesse sue le visioni che erano nate per quella storia. E poi magari riscrivere, ribattere. Ecco, se dovessi definire direi che abbiamo costruito una sinfonietta di parole e immagini”.
Serio “Conosco bene il lavoro e lo stile narrativo di Igort, che è uno degli autori che maggiormente ha influenzato il mio gusto e che ha contribuito a formare una mia idea di fumetto. Forse, proprio per questo, entrare nella sua narrazione è stato per me un processo piuttosto naturale. Pur avendo avuto solo sporadici scambi durante la lavorazione, il nostro immaginario si è trovato a coincidere, probabilmente perché attingeva alle stesse fonti d’ispirazione. Per la stessa ragione, il mio primo pensiero è stato quello di non cadere nella tentazione di imitare, più o meno consciamente, il suo stile grafico, e, allo stesso tempo, di provare a conferire una potenza ancora maggiore alle profonde suggestioni offerte dalla sua scrittura”.
Che rapporto hanno i due protagonisti col loro passato e con i loro luoghi di provenienza?
Igort “L’ho raccontato nel libro, direi, da parte dei due protagonisti, un rapporto di poca chiarezza, che si muovono senza alcuna visione prospettica. Vivono alla giornata, inseguiti da un passato che li bracca senza sosta”.
Il fumo assume anche un valore simbolico, è anche il fumo interiore che offusca e annebbia la mente e il cuore?
Igort “Ho scritto per cercare di inoltrarmi nel mistero di due esistenze, per cercare di esplorare dei labirinti interiori in cui due uomini che si credono dei re, in realtà hanno pochi strumenti per capire cosa stiano facendo della loro vita”.
Serio “Il fumo, così come la nebbia, crea una sorta di patina grigia che avvolge tutto, lo impregna, lo rende sfocato. Le linee si disfano, i dettagli scompaiono. I colori perdono saturazione. Assieme a una costante luce fredda (fatta eccezione per la sequenza napoletana), il fumo è il filtro attraverso il quale vediamo i due protagonisti percorrere la città e, al contempo, le loro vite”.
Due uomini che si ritrovano a Milano, possiamo considerarli anche due volti di uomini che lasciano le loro città per rincorrere il mito della Milano delle grandi occasioni?
Igort “Il viaggio in questo caso rappresenta uno spaesamento, una specie di punto zero per ricominciare. Il viaggio verso nord per loro, come per milioni di italiani che emigrarono dal meridione in quegli anni, fu questo”. “Solo che i due personaggi di Gauloises non partono per un viaggio in cui si portano dietro la famiglia e lavorano in fabbrica per dare una speranza ai propri figli”.
“Qui si tratta di due solitari, isolati, di due persone che per diverse ragioni hanno un passato di cui si vogliono liberare. Un passato che li zavorra. E sperano che nel gelido nord troveranno un nuovo habitat per muoversi leggeri, per diventare qualcosa che sperano di incarnare. Ma non ne hanno certezza. Vivono appiattiti dalla paura, temono di essere smentiti da una vita più crudele di loro”. “Le loro vite parallele raccontano una storia di illusioni, e di indifferenza al dolore, anche al proprio. Di una possibile amicizia virile. E di una vita regolata da una visione meccanica, “ti dicono di fare questo e lo fai, senza domande”, il che porta a uno stato di alienazione, probabilmente”.
“Riflettere su questi elementi era possibile attraverso ‘il genere’. La violenza serve per indagare quanto, nei loro cuori, la coltre di indifferenza sia o meno scalfitta. I due uomini della storia sono diversi ma per alcuni versi potrebbero specchiarsi. Hanno qualcosa in comune, oltre alla ferocia”.
La ritualità e il calore di Napoli e il pragmatismo e l’ordine di Milano, avete puntato su oggetti simboli per raccontare l’anima delle due città?
Igort “Napoli è una babele, una città in cui, nei secoli, si sono stratificate culture, lingue e rituali differenti che si sono amalgamati e hanno portato alla città come oggi la conosciamo. Ma Napoli la conosciamo veramente? È una città il cui mistero si rinnova costantemente. Una città fatta di contrasti: grazia e violenza, cultura e ignoranza. La Sardegna, Cagliari, è un luogo metafisico in un’isola frustata dal vento e divorata dalla solitudine. Chi vive dentro l’isola assume, volente o nolente, le pose dell’isolano. Sono pose esistenziali, di chi non sa se mai riuscirà a varcarlo, quel mare. Milano è un luogo distante, l’altrove. Un miraggio che rappresenta non solo una meta fisica, ma anche una meta interiore. È il “farcela a uscire”, a ricominciare. Un gioco dell’oca esistenziale in cui ti puoi fermare per qualche giro o puoi perfino tornare indietro. La vita per chi ha pochi strumenti, per chi non ha controllo, può essere davvero tragica”.
Serio “Sì, i simboli sono stati uno strumento decisivo: sono disseminati in tutto il racconto, così come le citazioni letterarie e cinematografiche, palesi o solo suggerite, per chi le volesse cogliere. Il Duomo, la Galleria, la Torre Velasca e poi il Rione Sanità, il Vesuvio, e gli oggetti, le prime televisioni, i dischi, i ritagli di giornale e le foto appese alle pareti, i vecchi distributori di benzina. Al rito del caffè alla napoletana ho dedicato un’intera tavola”.
Le città emergono e parlano attraverso le case. Il paesaggio urbano è molto potente, ha una voce tutta sua?
Serio “L’ambientazione è un elemento fondamentale, in tutto il mio lavoro. Anche in questa storia ho voluto metterla sullo stesso piano dei personaggi. Volevo evocare il noir cinematografico italiano e francese degli anni 60 e il lavoro di grandi fotografi come Gabriele Basilico, che hanno immortalato la periferia milanese e i quartieri operai del dopoguerra, in tutta la loro poesia. Raccontare attraverso gli edifici simbolo della Milano di quegli anni, le insegne luminose, i viali trafficati, ma anche l’altra faccia del grande Boom, le case popolari, la fabbrica, i navigli ancora navigabili. Le emozioni dei protagonisti mostrate attraverso i luoghi che essi abitano e dai quali vengono inghiottiti”.
Free Jazz e improvvisazione diventano una chiave di lettura della storia?
Igort “Può essere. Sono indizi seminati nel racconto. Ma sono anche i suoni di quell’epoca.
Serio “Il fumetto è un linguaggio che opera su più piani. Sotto diversi punti di vista può essere paragonabile al cinema, sono due processi creativi molto simili. In questo senso anche in una storia disegnata la colonna sonora, seppur solo immaginata, può occupare un ruolo fondamentale; ci aiuta a completare le atmosfere, a evocare uno stato d’animo, a ricreare un periodo storico. Nel caso di “Gauloises” serve anche a dare un tempo, un andamento alla lettura. Questa è una storia dal ritmo sincopato, irregolare, fatta di disordini controllati, molto free jazz”.
Le donne che ruolo hanno nella vicenda?
Igort “Le risposte sono nel libro, nel racconto. Veronica chi è? Lui si innamora o no? Il lavoro sembra passare sopra qualunque cosa, legame o coinvolgimento. Stiamo parlando di una storia che racconta budelli, percorsi confusi, giri a vuoto. Non esistono donne o uomini, esistono ruoli, lavori da compiere. In questo senso la storia, io credo, conserva il suo mistero. Va oltre la mera contingenza, la mera ambientazione. Non è una storia simbolica, o di generi. Ma una storia di fantasmi interiori e di paure mai confessate”.
Serio “Dal punto di vista visivo, alle figure femminili ho voluto dare il maggior risalto possibile, attraverso la recitazione del corpo, gli sguardi, la gestualità, l’estetica. Volevo che ognuna di loro restasse impressa nella memoria del lettore, pur apparendo nello spazio ristretto di una o due pagine”.
Noir dal taglio metafisico, è la prima volta che vi confrontate con questo genere?
Igort “No. Tempo fa scrissi e disegnai Sinatra. Un noir metafisico ambientato a New York. E prima ancora con Daniele Brolli una versione pop metafisica del mito di fantomas, pubblicata su Frigidaire (si chiamò Fan-Thomas)”.
Serio “Sì, è la prima volta che lo affronto. È un genere che mi piace molto. Lo preferisco al giallo, per come tratta l’aspetto psicologico e sociologico dei personaggi, spesso descritti come sconfitti dalla vita, autentici perdenti, e per la caratterizzazione dell’ambientazione che diviene vera protagonista”.
Fumetti e graphic novel in Italia stanno guadagnando nuove fette di lettori?
Igort “Così pare, ma il dibattito culturale negli ultimi anni si è molto abbassato di livello. Pare che la complessità di una lettura del medium fumetto operata nel tempo da grandi come Del Buono, Eco, Buzzati, o Vittorini, sia andata perduta. Aveva ragione sant’Agostino: la conoscenza è un piano obliquo, se ti fermi torni indietro”.
Cristina Marra