Bartleby lo scrivano: un inedito Leo Gullotta al teatro Quirino. Herman Melville, l’autore del racconto dall’omonimo titolo, in scena al Teatro Quirino, fino al prossimo 3 aprile, è unanimemente considerato un precursore della letteratura esistenzialista e dell’assurdo, un precursore dell’opera di Franz Kafka.
Bartleby lo scrivano al teatro Quirino
E dell’assurdo sembra risentire lo spettacolo interpretato da Leo Gullotta, nei panni del protagonista Bartlebly, e da una nutrita compagine di interpreti collaterali.
Non riusciamo a capacitarci, infatti, del perché un personaggio così complesso, come quello del protagonista della vicenda narrata, sia stato affidato proprio ad un attore, che, pur avendo recitato al cinema, e in teatro in commedie e lavori drammatici, appare qui caricato di una incombenza, che appare come una “deminutio capitis”. Troppo semplice, troppo poco impegnativo il ruolo affidato ad un attore celebre, impegnato, acclamato dal pubblico per ben altre interpretazioni.
Bartleby lo scrivano: trama
In breve, un avvocato famoso di Wall Street è impegnato in importanti questioni di finanza: i suoi quattro dipendenti, di caratteri ed umori sempre variabili ed in continua competizione tra loro, evidenziano al datore di lavoro, che non riescono più a sostenere il ritmo dell’ incremento di pratiche, che pervengono allo studio. Viene quindi deciso di assumere un altro “scrivano”: un certo Bartley, un uomo dalla figura pallidamente linda, penosamente decorosa, irrimediabilmente squallida.
Leo Gullotta è Bartleby lo scrivano
In principio Bartleby esegue diligentemente il lavoro di copista ma si rifiuta di svolgere altri compiti, sconcertando il suo principale con la assurda risposta “preferirei di no“; poi, inspiegabilmente, smette di lavorare del tutto, fornendo come unica spiegazione, sempre ed invariabilmente, la medesima frase.
Tra varie vicende che scorrono lentamente in palcoscenico, Bartleby finisce in carcere a causa del suo atteggiamento ostinatamente rinunciatario, e quando il suo datore di lavoro, che inizialmente aveva tentato del tutto per convincerlo ad assumere atteggiamenti più socializzanti, gli procura un trattamento di riguardo all’interno del penitenziario, egli continua nel suo bizzarro comportamento fino a giungere a morte.
La scena finale di Bartleby lo scrivano
La scena finale, che si apre in uno scenario di luce accecante, diversa ed opposta da quella che caratterizza lo studio per l’intera rappresentazione, è il trionfo dell’assurdo. Ma è anche il sintomo di una volontà rinunciataria, da qualche critico giustificata, con l’intento di Bartleby di reagire al periodo economico fortemente in crescita, della Wall Street di metà ‘800.
A dire il vero, l’interpretazione del comportamento dello scrivano “suicida” appare allo spettatore normale, alquanto difficile. Perché, nel tempo, la critica mondiale, ha voluto attribuire al lavoro anche contenuti a carattere religioso. Con particolare riferimento al Vangelo di San Matteo per la parte cristiana, ed al quietismo buddista, secondo il quale quando la purezza dell’anima fosse stata raggiunta con l’annichilimento, l’uomo non doveva più chiedere niente a Dio.
Lo spettacolo ha la durata di ottanta minuti e non ha intervallo.
Andrea Gentili