E’ in scena alla Sala Umberto di Roma, fino al 13 novembre, la trasposizione teatrale di Qualcuno volò sul nido del cuculo ,per la regia di Alessandro Gassmann, che vede come protagonista un magistrale Daniele Russo.
Qualcuno volò sul nido del cuculo alla Sala Umberto
E’ in scena alla Sala Umberto di Roma, fino al 13 novembre, la trasposizione teatrale di Qualcuno volò sul nido del cuculo. Una grande rappresentazione per gli attori in scena, ma anche per gli spettatori che hanno assistito in platea, perché si è visto il vero Teatro quello con la T maiuscola.
Generalmente quando si mette in piedi una pièce dal titolo così noto, con un’eredità cinematografica da Oscar (ricordate l’omonimo film con un superbo Jack Nicholson nel ruolo del protagonista?), si teme sempre che si possa fare il paragone con il film e che non possa reggere il confronto.
La trasposizione teatrale è di Dale Wasserman
Così non è stato per questo spettacolo. La trasposizione teatrale è di Dale Wasserman, basata sull’omonimo romanzo di Ken Kesey, tradotta da Giovanni Lombardo Radice e adattata da Maurizio de Giovanni. La regia, come dicevamo, affidata ad Alessandro Gassmann porta sul palco, come i suoi precedenti lavori, un tocco cinematografico, usando videoproiezioni e musiche ad evidenziare i momenti di maggior dramma.
Lo spettacolo è ambientato nel manicomio di Aversa nel 1982
Non è la prima volta che il tema della pazzia mentale viene trattato a teatro. Così come non è la prima volta che il celebre romanzo di Ken Kesey viene rappresentato a teatro. Questo lavoro lascia senza fiato, con un senso di naturalezza ed umanità, di semplicità e di familiarità con il mondo ricreato sul palcoscenico. Tante le tematiche trattate: la malattia, la paura del mondo, il disagio interiore, l’abuso di potere, la privazione della libertà personale.
A differenza del film, la vicenda qui è ambientata nel 1982 nell’ospedale psichiatrico di Aversa, un anno dopo la Legge Basaglia. Il protagonista, costruito sulla base di Randle McMurphy, è Dario Danise, interpretato da un bravo Daniele Russo, qui in una delle prove d’attore più straordinarie e convincenti.
Il linguaggio napoletano rendono lo spettacolo contemporaneo
Il linguaggio dialettale napoletano, i modi di fare e di dire, il contesto temporale e culturale, rendono lo spettacolo contemporaneo e vicino al nostro mondo. La vicenda ha inizio con l’ingresso di Dario, un criminale da strapazzo, che si finge pazzo per scontare la sua pena in ospedale ed evitare il carcere. Si trova catapultato in un microcosmo composto da sette pazienti (Mauro Marino, Giacomo Rosselli, Alfredo Angelici, Emanuele Maria Bassi, Daniele Marino e in particolare Gilberto Gliozzi nei panni di Ramon Machado, un gigante buono che si finge sordomuto), ognuno di loro con una propria patologia mentale.
Sette “pazzarielli“, così come li chiama Dario, che riempiono le loro giornate tra partite a carte e terapie di gruppo, fobie più o meno accentrate, sotto il controllo di Suor Lucia, a cui dà volto Viviana Lombardi, completamente calata in una donna che forse indossa una “maschera” per proteggersi, una donna laica che si veste da suora senza aver preso i voti, che usa la fragilità dei malati per dare sfogo alle sue frustrazioni, incapace anche lei di vivere al di fuori delle mura dell’ospedale.
Il protagonista si sconvolge per un suicidio di uno dei pazienti
L’arrivo di Dario sconvolge le dinamiche interne dell’ospedale e farà realizzare ai pazienti di avere solo un disperato bisogno di normalità. Dopo una festa notturna cui partecipa anche la prostituta Titty Love, interpretata da Gaia Benassi, Dario viene punito con l’elettroshock che non lo scalfisce. A fargli perdere la testa, è il suicidio di uno dei pazienti che lo fa avventare contro suor Lucia per strangolarla, offrendo così alla sua carceriera, una perfetta scusa per prendersi la sua vendetta.
Sottoposto a lobotomia e ridotto ad un vegetale, i pazzarielli e Ramon decideranno di soffocarlo con un cuscino per restituirgli la dignità. Questo atto incoraggerà Ramon a scappare lontano per ricercare la sua libertà. Solleverà la statua della Madonna, la lancerà verso le finestre e scapperà via, diventando un’icona per tutti gli sconfitti che hanno il coraggio di rialzarsi per riprendersi la libertà. La scena si svolge sul velatino, mediante proiezione. La figura del gigante buono avanza verso il pubblico, i vetri in frantumi si scagliano ipoteticamente sugli spettatori e il gigante supera le quarte pareti metaforiche e virtuali.
Magistrali le scenografie e le musiche e le videografie
Avanzando verso la platea si fa sempre più alto, finché di lui vedremo solo i piedi. La musica accompagna il tutto, applausi, commozione, il riscatto c’è stato. L’emozione, tipica dei drammi hollywoodiani, basta e avanza, puntando dritto allo stomaco e al cuore.
Magistrali le scenografie di Gianluca Amodio, le musiche originali di Pivio e Aldo De Scalzi e le videografie di Marco Schiavoni.
Uno spettacolo di quasi tre ore imperdibile
In quasi tre ore di spettacolo, l’intero cast trasmette al pubblico un forte senso di umanità, che ci fa sentire parte, a prescindere dall’epoca e dal contesto geografico, dove la follia è considerata pericolo e anormalità e mai come paura del confronto con il complesso universo esterno.
Qualcuno volò sul nido del cuculo, uno spettacolo senz’altro da vedere che può creare nello spettatore un effetto catartico, una riflessione su noi stessi, sui turbamenti delle nostri menti.
Giancarlo Leone