Interno Bernhard all’Argentina. Sino al 29 gennaio, poi in tourèèe la Compagnia Mauri-Sturno ha portato in scena Interno Berhard, Il Riformatore del Mondo e Minetti, ritratto di un artista da vecchio. Uno spettacolo memorabile per la sapienza con cui tutti glie elementi che lo compongono sono armonizzati.
Interno Bernhard all’Argentina
Interno Bernhard all’Argentina. E poi arriva il Teatro. Quello che emoziona, che fa riflettere, che stupisce, che porta sulle spalle l’arte millenaria della Rappresentazione. Volendole sintetizzare, queste le sensazioni che hai addosso dopo aver assistito al lavoro interamente dedicato a Bernhard in scena al Teatro Argentina di Roma e poi in tour per i teatri italiani.
Gli ingredienti per una buona riuscita c’erano tutti, a dire il vero, ma anche nelle migliori cucine l’errore è all’angolo. Ma se per i testi scomodiamo Thomas Bernhard, per la regia chiamiamo Andrea Baracco, alle musiche scegliamo Giacomo Vezzani e Vanja Sturno, scene e luci le affidiamo a Marta Malatesta e Umile Vainieri e come interpreti optiamo su Glauco Mauri e Roberto Sturno, probabilmente la formula per gustare un piatto esclusivo e memorabile c’è tutta.
Bernhard sferza la società ottusa e fatua
Le aspettative non sono andate deluse. Le sferzate di Bernhard, la sua cinica rappresentazione dell’umanità, gli strali spietati lanciati contro una società ottusa e fatua, sono l’impalcatura dei personaggi del progetto Interno Berhard, Il Riformatore del Mondo e Minetti, ritratto di un artista da vecchio, personaggi che non vogliono essere amati. E non fanno nulla per compiacere.
Vogliono solo poter parlare, senza reticenze, senza paura delle ruvidezze che potranno proferire; vogliono scuotere il pubblico, stordirlo con una prosa fluviale, dove non si ricerca dialogo ma assertività. Perché il ruolo del Teatro e dell’Arte non è compiacere ma illuminare.
I personaggi della pièce vogliono parlare senza reticenze
Personaggi assorbiti nella misantropia, nata dalla consapevolezza di essere probabilmente gli ultimi epigoni, l’ultima voce prima che si spengano i riflettori o arrivi il gelido inverno della Ragione.
D’altronde, quale altra strada avrebbero potuto avere gli artisti in una società che sembra non voler più riflettere e interrogarsi? “Gli intellettuali come ultimo baluardo di autenticità” sembra gridare Bernhard un secolo fa.
Un grido rimasto inascoltato da una umanità popolata di strani figuri con teste d’asino.
Francesca Pistoia