Il giardino dei ciliegi al Sala Umberto. E’ in scena in questo teatro Il giardino dei ciliegi, l’ultima opera teatrale di Anton Cechov datata 1905, scritta in a metà fra il dramma e la farsa, poi man mano trasformata registicamente. La compagnia è di ottimo livello, con scene molto spartane. Il lavoro si chiude con un momento speciale. Certamente uno spettacolo di interesse!
Il giardino dei ciliegi al Sala Umberto
E’ in scena al Teatro Sala Umberto Il giardino dei ciliegi, l’ultima opera teatrale di Anton Cechov datata 1905, scritta in a metà fra il dramma e la farsa, poi man mano trasformata registicamente, (a cominciare da Stanislawski) in qualcosa di più sociale, drammatico, interiore, pur mantenendo a volte toni ironici e umoristici. Anzi, proprio i momenti più brillanti accentuano l’amarezza che contraddistingue il tema di fondo.
Il contesto storico, infatti, è quello che risale alla seconda metà dell’Ottocento, quando lo stato zarista abolì la servitù della gleba. Ci troviamo di fronte a storie di contadini che si vogliono emancipare, ma nel contempo si colgono sentimenti di amore per la natura, che Cechov adorava. Natura che lo scrittore russo imparò ad amare trascorrendo le vacanze estive presso amici di famiglia, in Ucraina.
Il giardino dei Ciliegi – trama
La storia è nota: una famiglia benestante si riduce in miseria: Ljubov (nome poetico, che significa “Amore”), è una vedova ancora con molta voglia di vivere, ma purtroppo incapace di gestire i beni di famiglia ereditati, così come suo fratello Gaev. In realtà Ljubov vuole tornare a Parigi dove ha trovato un nuovo compagno, come confessa alle due figlie Varja e Anja. Anche se pressata dalle necessità, Ljubov non vuole vendere il Giardino dei Ciliegi, luogo d’incanto e della memoria, ma l’asta è fissata a breve. Lopachin, uomo d’affari e figlio dei servitori della casa, offre il suo aiuto, ma lei rifiuta. E Lopachin finirà per acquistare lui stesso quel giardino, che lui, da bimbo, guardava con ammirazione, ma come figlio della servitù tenuto a distanza. Un amico, lo studente Trofimov, è in qualche modo conteso dalle due sorelle.
In sostanza, in questo lavoro l’emancipazione dei servi diventa rivalsa, tanto che Lopachin nella sua brama di ricchezza, si scopre addirittura incapace di amare Anja, che non disdegnava la sua corte. Il dramma si conclude con la partenza, vissuta con tanta nostalgia ma anche con la voglia di cambiare pagina, verso una nuova vita dove il treno li condurrà.
La compagnia è di ottimo livello
La compagnia è di ottimo livello. Milvia Marigliano dà vita a una magnifica Ljubov, mentre Giovanni Franzoni interpreta da par suo Gaiev, il fratello straripante e istrionico, a volte fanciullesco. Rosario Lisma (che firma anche la regia e l’adattamento) ci rende un Lopachin assai efficace e incisivo, che a sua volta si pone in antitesi con lo studente Trofimov, idealista e meno materiale, interpretato con molto garbo da Tano Mongelli, mentre le due sorelle Varja e Anja sono interpretate dalle brave e convincenti Eleonora Giovanardi e Dalila Reas. La voce fuori campo è di Roberto Herlitzca.
Le scene, molto spartane sono di Federico Biancalani, coerenti con la scelta registica di Lisma, tendente a presentare un lavoro più asciutto (anche l’adattamento vede ridotto il numero dei personaggi), rivisto in chiave moderna, proiettato quasi ai nostri giorni, a voler ribadire il concetto che certe pulsioni e certe antitesi sono una costante della storia umana.
Il lavoro si chiude con un momento speciale
Il sapore della Russia si sente lontano, solo durante la festa si ballano un paio di canzoni popolari (anche esse in chiave moderna), tra cui la celebre “Sinji Platocek” (Fazzolettino Azzurro).Invece Lisma fa volutamente un ripetuto omaggio a Franco Battiato.
Uno spettacolo di interesse
La versione in chiave moderna può piacere o meno, ma bisogna dar atto alla regia di aver allestito uno spettacolo degno di nota. Il lavoro si chiude con un momento speciale: Lopachin finalmente riesce ad aprire un armadio, che domina la “stanza dei bambini” e testimone del tempo felice che fu, dal quale però escono tutti i protagonisti: una specie di incubo per l’uomo d’affari, mentre la famiglia dà un ultimo saluto al giardino dei ciliegi, proprio mentre gli operai abbattono i primi alberi.
Certamente uno spettacolo di interesse!
Salvatore Scirè