Intervista a Andrea e Malina De Carlo autori di I vestiti di Batuc. La famiglia editoriale della Nave di Teseo accoglie una nuova nata, si tratta della collana La nave dei piccoli che offre viaggi letterari nel mondo dei giovani lettori con libri illustrati e scritti da big della narrativa e del disegno. Le prime uscite sono due grandi novità con autori che si cimentano per la prima volta nella narrativa per bambini, Andrea De Carlo e Matthew Mc Connaughey. I vestiti di Batuc inaugura la collana e porta la doppia firma di Andrea De Carlo e della figlia Malina, rispettivamente illustratore e autrice di una storia sull’unicità degli esseri viventi, sulla voglia della scoperta, sul bisogno del confronto e sull’accettazione della propria natura. Visum li ha intervistati.
Andrea con I vestiti di Batuc inauguri una nuova collana. Che effetto ti fa essere il primo titolo di una collana per bambini?
“E’ una bellissima coincidenza, ed è divertente condividere con Malina un’avventura editoriale diversa da quelle che mi erano familiari”.
Malina, da ascoltatrice di storie a autrice. Con un padre scrittore era inevitabile? Raccontare i suoi disegni con le parole è stata una forma di condivisione?
“Sicuramente con mio padre ho scoperto fin da subito la gioia del leggere. Dello sparire nei libri, del viverci dentro, ben oltre la pagina. Il potere dei personaggi ben sviluppati, di una storia ben costruita. E poi lui è sempre stato generoso nei miei confronti, ha sempre condiviso trame e romanzi prima che trovassero la loro veste definitiva, mostrandomi come si potessero modificare, rifinire, rarefare. Mi ha fatto vedere il mestiere. Iniziare a farlo mi è venuto molto naturale. Scrivere la storia che lui aveva disegnato è stato un esercizio di danza telepatica – lui ha illustrato, io ho scritto, e insieme abbiamo attraversato il tempo e lo spazio, senza mai calpestarci i piedi”.
Andrea, la storia di questo libro ha radici lontane. Nasce dai tuoi disegni di una martora che si reca in città. Avevi ventitré anni. Che è successo da allora?
“Tante cose: ho viaggiato, vissuto in posti diversi, scritto ventidue romanzi, avuto una figlia che si chiama Malina…”
Malina, quanto è stato emozionante e divertente scrivere questa storia pensando che i lettori sarebbero stati i bambini come i tuoi?
“I miei bambini sono stati il motore di tutto: volevamo creare un mondo e dei personaggi che potessero farli sorridere e pensare, che gli riempissero la testa di domande. A loro, e spero a tanti altri bambini curiosi e colorati come loro”.
Che significa vestirsi per Batuc? La scelta dei colori che non lo rappresentano è uniformarsi agli altri?
“Malina:Batuc si veste per comunicare sé stesso, le sue emozioni e i suoi pensieri. La presa di consapevolezza della propria nudità lo lascia basito. Ma una volta capito il linguaggio dei vestiti decide di divertircisi, cercando di esprimere attraverso i suoi completi ogni sfaccettatura del suo carattere. La decisione di abbandonare i colori sgargianti è una domanda: quanto di me sono disposto a nascondere per venire accettato? Ne vale veramente la pena?”
Andrea :”Vestirsi può essere un modo di rappresentare il proprio carattere e il proprio umore, o al contrario di nasconderli”.
Sono la solitudine e il bisogno di confronto e condivisione a spingere Batuc a lasciare la foresta?
“Malina: Batuc è curioso di natura: vuole vedere oltre, conoscere altri, riconoscersi, lasciarsi sorprendere. E’ pronto a scoprire il mondo, a cuore scoperto.
Andrea :”Anche la curiosità di scoprire cosa ci sia fuori dai luoghi conosciuti, il bisogno di varietà, la noia, il desiderio di incontrare “pensieri interessanti”. Sono alcuni dei motori dell’esplorazione umana, del resto”.
Scoprire se stessi significa mettersi a nudo?
“Malina: “O trovare le proprie sfumature – quelle che ci danno gioia e quelle che invece ce la tolgono. E poi trovare il coraggio di indossarle”.
Andrea: “Il punto di partenza è fare i conti con chi si è davvero, senza maschere né travestimenti”.
L’appartenenza è uno dei messaggi del libro?
“Malina: “Più che l’appartenenza, la scelta categorica di rivendicare la propria unicità, e la libertà che viene dal mostrarla”.
Andrea: “O la non-appartenenza, la legittimità di non uniformarsi alla massa, ma al contrario rivendicare la propria unicità, per quanto irregolare possa sembrare”.
Cristina Marra